Economia e Lavoro

  La Fast Fashion: un modello di business insostenibile

di Gino Piacentini

Negli ultimi 20 anni il fenomeno della fast fashion ha trainato il consumo del comparto tessile senza tenere conto delle ripercussioni sull’ambiente di questa produzione sfrenata.  Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, che ha calcolato l’impronta del settore tessile nel suo report sulla fast fashion, oggi un abito viene indossato mediamente 8 volte prima di essere scartato. Rispetto a 20 anni fa – si legge nel report – la durata di un capo d’abbigliamento è scesa del 36%.La tendenza a una moda usa e getta, si traduce in abiti di scarsa durabilità attraverso l’impiego di materiali e finiture non progettati per essere riutilizzati e riciclati. Le conseguenze sull’ambiente sono tangibili, basti pensare che esiste un paese africano che letteralmente fa da pattumiera ai vestiti usati, stiamo parlano del Kenya, dove nel 2021 sono finiti oltre 900 milioni di capi di abbigliamentoin plastica, usati e non riciclati. Di questi circa 150 milioni provengono dall’Europa e dal Regno Unito e oltre un milione arriva dall’Italia. Sono solo alcuni dei dati contenuti in una recente indagine condotta da Clean Up Kenya, una campagna fondata nel 2015. Se guardiamo i dati dell’Europa nel 2020 – complice la pandemia – ogni cittadino ha consumato 15 chili di prodotti tessili, pari complessivamente a 6,6 milioni di tonnellate, la cui produzione ha causato l’emissione di 121 milioni di tonnellate di CO2, pari a 270 chilogrammi a persona.

Esistono delle soluzioni circolari

Una possibile soluzione è rappresentata dall’impiego di prodotti riciclabili già nella fase di progettazione del capo. Le aziende devono iniziare ad utilizzare criteri di responsabilità sociale d’impresa attraverso un approccio sostenibile a cominciare dal design. Non potendo controllare la spinta compulsiva al consumo, l’unica strada percorribile resta quella dello sviluppo di prodotti sempre più longevi. Allungare il ciclo di vita dei tessuti favorisce la chiusura del ciclo, trasformando i rifiuti tessili in materia prima per nuovi tessuti o altre catene di produzione. Il materiale può essere riutilizzato come tessuto attraverso la rigenerazione, oppure come fibra attraverso il riciclaggio. Oggi invece un terzo dei rifiuti tessili non è facilmente riciclabile a causa di finiture e accessori non rimovibili o di sostanze chimiche pericolose. In pratica le esigenze funzionali, estetiche o economiche oggi sono prioritarie nella produzione rispetto a quelle da garantire per un efficace riciclaggio. A questo primo step si aggiunge poi anche la responsabilità dei consumatori che dovranno sviluppare maggiore consapevolezza sul tema, resistendo all’impulso di acquistare nuovi capi; conservando la longevità dei capi acquistati; e utilizzando maggiormente le tante piattaforme online per l’acquisto e la rivendita di vestiti usati.

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