Cronaca

L’affaire Mattei, il caso Paolini e il decennio 1968-1978. Di verità si può anche morire?/17

di Otello Lupacchini*

 

Tra il 1968 e il 1978, l’Italia visse un decennio molto complicato, il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici: i movimenti operai affermarono progressivamente il proprio ruolo nella politica nazionale; gli studenti reclamarono una società più moderna e aperta ai valori laici; la classe politica al governo, da parte sua, incapace di offrire risposte concrete, lasciò progressivamente si creasse un pericoloso vuoto di potere, di cui approfittarono, talune organizzazioni estremiste di nuova formazione, per attuare una strategia del terrore fondata sulla violenza e il disordine generalizzato. A latere del il ceto politico legittimato dalle elezioni, attraversato da una profonda crisi di identità – la Democrazia cristiana non rispondeva ormai più alle attese della maggioranza degli italiani e il Partito comunista stava abbandonando progressivamente la sua tradizionale base operaia e le classi sociali meno abbienti –, s’attestò, peraltro, una molteplicità di altri attori capace d’influenzare il corso della vita democratica. Di questi, taluni, come ad esempio i sindacati, erano palesi, altri, invece, di vario genere, individuali o organizzati, pubblici o privati, legali o criminali, erano occulti. Ad accomunare quest’area invisibile del potere, era la convinzione che le cose veramente importanti, in democrazia, sono quelle che avvengono dietro le quinte, di cui il dibattito pubblico, i partiti, le elezioni, i riti parlamentari, in genere, sono solo un paravento. Basti pensare, ad esempio, ad alcune logge massoniche, segnatamente la Loggia P2, la lista dei cui iscritti sembra l’organigramma dell’establishment dell’epoca; a pezzi di servizi segreti deviati in combutta con gruppi neofascisti e consorterie criminali, quali, in via di mera esemplificazione, la banda dei Marsigliesi, prima, e la banda della Magliana, poi; alle reti di imprenditori, militari, politici, prelati, grand commis, magistrati, mafiosi ed ex resistenti anticomunisti; ai network di intellettuali, sindacalisti, giornalisti, avvocati ed esponenti politici collegati all’antagonismo di sinistra; e l’elenco potrebbe continuare.

Negli anni Settanta, insomma, i poteri occulti si adoperarono effettivamente per aggiustare il processo politico palese, per contrastare l’allargamento a sinistra dell’area di governo e, soprattutto, per evitare il superamento del paradigma di Yalta. Ad avere l’ultima parola era ancora, però, la sovranità popolare, sicché venne fallito l’obiettivo, ma questi soggetti, al di là del sangue di cui portano direttamente o indirettamente la responsabilità senza essere stati quasi mai chiamati a risponderne, produssero l’effetto deleterio di rendere il cammino della democrazia lento, accidentato, inefficace. Essi, per dirla con Giovani Moro, innescarono una « doppia tragedia », vale a dire: « Dal punto di vista del conflitto di sistema, quel periodo si chiudeva con la riproposizione della logica di Yalta, come principio ordinatore della realtà […]. Dal punto di vista del conflitto di cittadinanza, il terrorismo e la logica dell’emergenza così come (…) l’assorbimento degli spazi di partecipazione in una dimensione istituzionale subito lottizzata dai partiti e un’attuazione delle riforme varate in quegli anni gestita dal vecchio personale politico, avevano letteralmente rimandato a casa cittadini e movimenti, fatto sparire dalla scena pubblica soggetti come i giovani, le donne e gli operai e portato all’abiura del patrimonio di “fedi” che allora si era generato » .

È, dunque, pensabile, in questo contesto, che un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, il quale alla tendenza al conformismo, alla violenza e alla dissacrazione dell’uomo e della storia, risponde con una scrittura-azione, tesa a sollecitare e a risvegliare il senso civico di responsabilità, ma anche a promuovere il ruolo sociale e soprattutto di cittadinanza di tutti gli individui; che un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, che alle false certezze del consumismo, oppone una letteratura d’investigazione che rimette in discussione l’intero sistema morale, tutti i pregiudizi per cogliere la logica sottesa a questo tipo di potere violento e invisibile; che un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, le cui opere sia in versi sia in prosa, sia teatrali sia cinematografiche, così come la sua imponente produzione di critico letterario e di cui non si possono tacere i numerosi interventi sociali e politici che hanno segnato la storia d’Italia e invitato a dibattere il ruolo complesso che l’intellettuale impegnato avrebbe dovuto assicurare in seno alle società contemporanee, ne mettono in chiarissima evidenza la tendenza a demistificare il potere e la sua violenza; che un intellettuale – tale  nel senso in cui San Tommaso qualificava coloro che hanno una visione diacronica del mondo – come Pier Paolo Pasolini, possa non essere stato aiutato a raggiungere, finalmente « anima assunta in patria », il posto che gli competeva nella scala metafisica, accanto agli angeli, intellectuales per eccellenza?

 

*Giusfilosofo

17/Fine

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