Politica

Liberazione della retorica: tra propaganda, simboli e vuoto politico

di Viola Scipioni

Mercoledì 7 maggio alla Camera di discuteva di prevenzione all’obesità. Ma l’Aula si è trasformata in un’arena di appelli politici senza contesto. Laura Boldrini ha evocato il conflitto tra India e Pakistan, chiedendo alla Presidente del Consiglio di «fare qualcosa». Peccato che Giorgia Meloni, in quel momento, fosse al Senato. Un episodio emblematico di una cifra retorica che sembra accumunare la sinistra parlamentare: quella dell’etica generica, del simbolismo scollegato del merito. «Venire a riferire in Aula», «contributo», «intervenire»: formule che si ripetono, senza una proposta concreta.

Dall’altro lato, il centrodestra non è da meno. Ogni episodio viene trasformato in una battaglia identitaria. È il caso della canzone “Faccetta nera” diffusa durante l’adunata degli Alpini. L’Associazione Nazionale Alpini ha precisato che proveniva da un locale privato. Ma per Matteo Salvini è bastato per rilanciare: «giù le mani dagli Alpini, che sono gloria, storia e patrimonio dell’Italia». Come se a criticare un episodio deprecabile fosse attaccare l’intera nazione.

Nel frattempo, sul tema più rilevante della settimana – il referendum – il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha invitato all’astensione, definendola «una forma legittima di dissenso politico», citando persino Giorgio Napolitano nel 2016. Le reazioni sono state durissime. Riccardo Magi (+Europa) lo ha definito un «invito vergognoso e illiberale», mentre Giuseppe Conte (M5S) ha accusato il governo di voler «aggravare le condizioni già malmesse della nostra democrazia». Elly Schlein (Pd) ha replicato: «è un’occasione per far valere la dignità e la sicurezza del lavoro».

Il risultato è un’opinione pubblica disorientata, stretta tra chi trasforma tutto in appartenenza e chi parla solo per indignazione. “O con noi o contro di noi” da una parte, “facciamo qualcosa” dall’altra.

Ma mentre la politica si perde nel teatrino, fuori dall’Aula è bene ricordare ciò che abbiamo festeggiato qualche settimana fa ovvero l’anniversario del 25 Aprile, che oggi si carica di un’urgenza nuova. La Liberazione oggi non è solo memoria antifascista, ma anche resistenza alla disinformazione. In questi giorni, il Ministero degli Esteri russo ha diffuso un documento – rilanciato dallo stesso Vladimir Putin – in cui si parla di un presunto «eurofascismo». «L’Unione Europea e i suoi Stati membri», si legge, «stanno progressivamente abbracciando forme di autoritarismo mascherato da democrazia». Putin afferma: «la Russia, baluardo della memoria storica, si oppone a chi vuole riscrivere la verità della Seconda Guerra Mondiale».

Un ribaltamento pericoloso della storia. Il Cremlino si presenta come erede della Resistenza, mentre conduce una guerra di aggressione che ha riportato in Europa deportazioni, stupri sistematici, esecuzioni sommarie – come documentato da Amnesty International e dal Parlamento Europeo. Il testo russo ignora il patto Molotov-Ribbentrop, accusa il liberalismo inglese di aver ispirato i lager nazisti e definisce Ursula von der Leyen «figura demoniaca».

Una strategia chiara: delegittimare l’UE, dividere l’Occidente, sostenere la narrazione che la Nato sia l’aggressore. Dmitry Medvedev ha dichiarato: «il futuro dell’Europa dipende dalla sua capacità di liberarsi dall’ideologia neonazista travestita da federalismo».

E in questa narrazione tossica, il fascismo non è più quello di ieri, ma un simulacro moderno che parla russo. Un racconto che trova eco anche in Occidente. Alessandro Orsini e Marco Travaglio hanno minimizzato le colpe di Mosca. Donald Trump ha elogiato Putin come «un genio», Papa Francesco, prima di morire, disse: «la Nato abbaiava alle porte della Russia». Frase che oggi compare nei documenti ufficiali del Cremlino.

Se la memoria diventa terreno di propaganda, la Liberazione rischia di diventare solo una data. Per questo oggi serve chiarezza, serve onestà storica. E serve resistenza: non quella evocata retoricamente in Parlamento e nelle piazze vicino, ma quella concreta contro la disinformazione, contro la manipolazione e contro la deriva simbolica che ha svuotato la politica dal suo senso.

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