Politica

Meloni su ciò che non è politica estera

di Fabiana D’Eramo

Intervenuta in sede di replica in Senato dopo la discussione sulle sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo, Giorgia Meloni ha illustrato cosa, secondo lei, la politica estera non è.

Non è “accodarsi a Francia e Germania e mettersi in fila per una fotografia”, ha spiegato il presidente del Consiglio. E se poteva sembrare un attacco gratuito a Mario Draghi, ha sottolineato che l’intenzione non era quella, e che nel mirino c’era invece il Pd, quella tendenza a “guardare cosa fanno Francia e Germania” senza pensare al bene agli italiani: mettersi in posa di fronte all’obiettivo, pura formalità, “anche quando a casa non si portava niente”. Nella critica di Meloni c’è il sempre verde riferimento alla patina di “buonismo” e “politicamente corretto” che avvolge le azioni intraprese dalla sinistra in materia di Esteri, e dunque l’attenzione a stringere rapporti formali e poco sostanziali con un solo lato dell’Unione.

Politica estera per Meloni infatti non è nemmeno lavorare per “un’Europa di serie A e un’Europa di serie B”. Perché se va d’accordo con Francia e Germania, non significa che non possa rivendicare il dialogo con il presidente ungherese Viktor Orbán. Anzi, “in Europa la posizione di Scholz è più distante da noi di quella di Orbán”, ha rimarcato. “Mi si chiede di scegliere, ma l’Europa è a 27 paesi e bisogna parlare con tutti i 27”, ha spiegato, per nulla scombussolata dal fatto che l’ungherese sia vicino al capo del Cremlino Vladimir Putin e fiero avversario dell’ingresso di Kiev nell’Unione, mentre lei abbia sempre ribadito il suo sostegno all’Ucraina.

Politica estera non è poi procedere per gradi. “Capisco che possa dare fastidio che l’Italia abbia una strategia di politica estera”, ha detto Meloni, insinuando che qualcuno sia spaventato dalla fermezza delle decisioni del governo italiano. Non ci si aspetterebbe, dunque, proprio da questo deciso esecutivo, l’astensione, per due volte, lo scorso ottobre e di nuovo oggi, al cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. L’assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto a gran voce una tregua umanitaria immediata, duratura e sostenibile nella Striscia per porre fine alle ostilità. Astenersi dal voto è stata per la premier “la più equilibrata fra le posizioni possibili”. Ma su Gaza restano molte aree grigie: pur essendosi dichiarata amica del governo di Netanyahu, Meloni non ha rivendicato di star supportando lo stato di Israele con l’invio di armi. “Forse vi riferite alle armi che il governo Conte ha venduto ad Israele, visto che il governo Conte è stato quello che ha venduto più armi di tutti a Israele”, ha rilanciato. La premier, tuttavia, non ha fermato le forniture con l’inizio del conflitto.

A Giuseppe Conte però ha scagliato un’altra accusa. Al centro della riunione dei capi di Stato e di governo dell’Ue ci sarà anche la riforma del Patto di stabilità, che rientrerà in vigore il prossimo primo gennaio dopo una sospensione di oltre tre anni, dovuta prima al Covid e poi all’aggressione in Ucraina. Legata alla trattativa sul patto di Stabilità, c’è la ratifica della riforma del Mes, il fondo salva-Stati, firmata dai rappresentanti dei governi dell’Eurozona nel 2021: il termine per farlo scade alla fine dell’anno, ma l’Italia è l’unica a non aver ancora dato l’okay a causa della contrarietà della maggioranza. Secondo Meloni infatti il secondo governo Conte ha firmato la riforma del trattato “contro il parere del Parlamento” in quanto governo dimissionario – anche se la decisione era già stata presa e supportata dall’allora maggioranza parlamentare nei due mesi precedenti. L’assenso dato da Conte ora metterebbe il governo “in una condizione difficile”, ma la premier ha affermato che per quanto si possa trattare con l’Europa, non è disposta a dare il suo “assenso a una riforma che nessun governo italiano potrebbe in futuro rispettare. Sicuramente se non fossimo d’accordo sulla soluzione trovata verremmo accusati di essere isolati, ma preferisco questo che essere accusata di aver svenduto l’Italia, come invece è capitato ad altri”.

Poiché politica estera non è lasciare che l’Ue si occupi di ciò che i singoli Paesi possono affrontare da soli, infine Meloni vuole rivendicare la resistenza che ha sempre opposto all’Europa, e ribattere sul principio che ai singoli Paesi vengano lasciati i temi più vicini alla vita dei cittadini. Non è strano, dunque, che se i buoni rapporti della premier con Washington le hanno fatto accumulare punti in politica estera – che doveva essere il suo tasto dolente – le sue radici antieuropeiste rendano le cose un po’ più difficili.

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