Economia e Lavoro

Mutui casa, l’Italia sale sul podio come la peggiore in Europa. L’analisi di Unimpresa e i riflettori accesi sul debito pubblico

 

 

L’Italia vanta un record negativo rispetto alle principali economie dell’Europa, mostrando il costo dei mutui casa più elevato.

Il tasso medio sui mutui applicato nel Belpaese, pari al 4,23%, è infatti corrispondente al livello più elevato praticato dagli istituti di credito in ambito europeo. Come emerge da un recente report realizzato dal Centro Studi di Unimpresa, l’Italia si caratterizza per una differenza di 52 punti base rispetto a Germania e Spagna (con tasso medio pari a 3,71%), di 135 punti rispetto alla Francia (2,88%), 37 rispetto all’Austria (3,86%) e 9 punti nel confronto con il Portogallo (4,14%) per quanto riguarda i tassi sui mutui casa. I tassi elevati, oltre a gravare sui budget familiari, rischiano anche di rallentare il mercato immobiliare generando ripercussioni sull’economia nazionale, tanto che oggi chi chiede un mutuo per comprare casa in Italia trova le peggiori condizioni dell’area Euro. Se nel 2021 le condizioni praticate dalle banche per il credito immobiliare erano sostanzialmente allineate in tutta Europa, in Italia il tasso medio era all’1,40%. La percentuale ha subito incrementi costanti nel 2022 raggiungendo il 3,34%.

Dietro le marcate differenze tra i Paesi europei si celano motivi difficili da individuare, come sottolineano gli analisti del Centro studi di Unimpresa: “Le spiegazioni senza dubbio non risiedono nei parametri sui rischi di credito. Se si guarda in particolare al confronto con la Germania, l’anno scorso le banche italiane offrivano condizioni sui mutui più convenienti rispetto alla concorrenza tedesca: 3,34% contro 3,52%. Nell’arco di pochi mesi, durante i quali la Banca centrale ha portato il costo del denaro da zero al 4,25%, si è ribaltato tutto con lo spread di 18 punti favorevole all’Italia ora in terreno negativo per 52 punti”. Quanto ai numeri, Unimpresa accende poi i riflettori  anche sul record raggiungo dall’esposizione del debito pubblico che è aumentato al ritmo di 14,3 miliardi di euro al mese il debito pubblico italiano nel primo semestre del 2023: un ritmo superiore sia ai 6,4 miliardi medi mensili del 2022 sia agli 8,8 miliardi del 2021. Rispetto allo scorso anno la velocità di crescita della “voragine” nelle finanze pubbliche è salita del 123%, mentre rispetto al 2021 è cresciuta del 62%. Tra il 2022 e il 2021 si era invece registrato un rallentamento del ritmo pari al 27%. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale il debito pubblico italiano a giugno scorso è arrivato a quota 2.843,1 miliardi, in aumento di 86 miliardi rispetto al 2022, quando si era attestato a 2.756,9 miliardi, in crescita di 77,3 miliardi sull’anno precedente. «L’andamento del debito pubblico ci preoccupa in vista della definizione della prossima legge di bilancio: le risorse a disposizione del governo sono limitate e c’è il rischio di avere una finanziaria particolarmente avara, in una fase, invece, nella quale le imprese avrebbero bisogno di sostegni e fondi importanti per sviluppare un percorso di crescita economica robusto» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.  Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, il debito pubblico italiano a giugno scorso è arrivato a quota 2.843,1 miliardi di euro, a fine 2022 era a 2.756,9 miliardi, a fine 2021 a 2.679,6 miliardi, a fine 2020 a 2.573,4 miliardi. Nel corso dei primi sei mesi del 2023, la “voragine” nelle finanze pubbliche del Paese è cresciuta in totale di 86,1 miliardi, con una media mensile di 14,3 miliardi, più alta del 123% rispetto al ritmo del 2022 (+7,9 miliardi), pari a 6,4 miliardi medi mensili, quando il debito era salito complessivamente di 77,3 miliardi. Tra il 2022 e il 2021 si era registrato un rallentamento del ritmo, calato del 27% di 2,3 miliardi. È superiore a 5,5 miliardi (+62%) la differenza tra la velocità di crescita del 2023 e quello del 2021. «Questa situazione è resa ancora più preoccupante dalla trattativa in corso in sede europea in relazione alle norme sul patto di stabilità: in assenza di nuovi accordi, dal prossimo gennaio saremo costretti a rispettare i vecchi parametri bilancio imposti dall’Unione europea e, visto l’andamento dei nostri conti pubblici, corriamo il rischio di dover affrontare un periodo di pesantissimi tagli. È fondamentale che il governo ottenga il più possibile e, alla luce di quanto scoperto dalla Corte dei conti tedesca, stavolta appare difficile che la Germania, con i suoi conti alterati, possa mantenere una posizione di assurda rigidità» aggiunge Ferrara.

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