Esteri

Per la Finanza internazionale l’India non è ancora l’alternativa alla Cina

Gli indici finanziari sono un buon indicatore dello stato delle finanze dei singoli stati (l’Italia con lo spread ne sa qualcosa) possono essere molto illuminanti nel valutare la preparazione di un mercato per il prime time globale.

La JPMorgan Chase & Co da qualche anno ha aggiunto il debito indiano ai suoi indicatori dei mercati emergenti e prevede di attirare 40 miliardi di dollari nella più grande economia dell’Asia meridionale, proprio quando gli investitori cominciano a pensare che l’India sia ormai alternativa alla Cina in rallentamento.

Solo che l’India entrerà nel benchmark di JPMorgan pochi giorni dopo che il Primo Ministro Narendra Modi avrà raggiunto il suo traguardo di 10 anni al potere, da quando il 26 maggio 2014, il partito Bharatiya Janata di Modi giuste al potere con un programma di riforme economiche.

La domanda oggi è se veramente Modi abbia trasformato l’India in una destinazione di investimenti più innovativa, produttiva e prospera.

Certamente in quel subcontinente la macroeconomia sta andando a gonfie vele con un tasso di crescita superiore a quello della Cina e la fuga precipitosa di startup tecnologiche verso l’India che stanno spingendo il mercato azionario. A livello micro, tuttavia, l’India rappresenta un esempio su cui occorre andare molto cauti rispetto ai mercati emergenti.

Al vertice BRICS Modi ha dichiarato che “presto l’India diventerà un’economia da 5mila miliardi di dollari”. Ciò renderebbe l’economia dell’India più grande di quella del Giappone.

Per tutte queste ragioni la stratega di Morgan Stanley potrebbe essere un fattore di spinta per stimolare gli afflussi esteri in India e gli investitori stranieri potrebbero essere più attivi.

Resta da vedere se la decisione di JPMorgan spingerà altri a seguire l’esempio. In ogni caso, oltre a sostenere la rupia indiana, la decisione dovrebbe anche contribuire a ridurre gli spread dei titoli di Stato rispetto ai titoli del Tesoro statunitensi.

Modi sta giocando pro domo sua da questo crescente ottimismo internazionale cercando di attirare le multinazionali disilluse dalla Cina.

L’India, nel frattempo, è cresciuta del 6,1% su base annua, superando la Cina nei primi tre mesi del 2023, mentre   mentre Washington e i suoi alleati in Asia cercano un nuovo campione di crescita dei mercati emergenti, appunto l’economia di Modi da 3,4 trilioni di dollari ansiosa di fare un passo avanti.

Quest’anno, secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’India contribuirà per oltre il 15% alla crescita globale. Sebbene sia ancora inferiore alla metà del 35% della Cina, ma il peso globale dell’India è chiaramente in crescita.

Come Modi è stato felice di sottolineare al vertice dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa –, l’India si trova in una sorta di punto geopolitico favorevole proprio nel momento in cui le nazioni del Sud del mondo entrano in gioco.

L’ottimismo di Modi e di Washington dilaga proprio mentre l’India supera di poco la Cina diventando la nazione più popolosa aò mondo con un miliardo e 400 milioni di abitanti.

Le prospettive dell’India dipendono anche dal fatto che il Team Modi tragga il massimo dal suo cosiddetto “dividendo demografico”, ma se Nuova Delhi non creerà abbastanza posti di lavoro ben retribuiti affronterà un incubo demografico anziché il miracolo demografico.

È sulla sua microeconomia che cade l’asino. Basta guardare alla mancanza di fiducia nel cambio della rupia rupia, all’ inflazione dilagante e alla incerta posizione fiscale del governo che sfidano l’ottimismo degli economisti.

Un’altra preoccupazione riguarda le infrastrutture e la competitività dell’India nel settore manifatturiero che sono in ritardo rispetto a quelle della Cina in misura impossibile da ignorare.

Modi con il suo “Make in India” non ha fatto altro che aumentare il flusso di importazioni cinesi, portando a un netto deterioramento della bilancia commerciale di Nuova Delhi.

A ben vedere il decennio al potere non ha affrontato molte delle sfide per le quali   si era impegnato nel 2014. Tra queste le scarse infrastrutture, la ormeendisuguaglianza, la disoccupazione giovanile cronica, gli elevati livelli di debito privato, il deterioramento delle dinamiche della bilancia dei pagamenti e la deludente domanda delle famiglie.

Fatti che dovrebbero favorire l’opposizione con almeno 24 partiti di minoranza che stanno unendo le forze per mandarlo a casa, ma con poche possibilità di vittoria. Altra preoccupazione è che l’India è all’85° posto nella percezione della corruzione di Transparency International, ferma agli stessi livelli del 2014, mentre la Cina è al 65° posto (l’Italia solo al 41°).

Il punteggio relativo alla libertà di stampa in India, è crollato precipitosamente dal 140° del 2014 al 161° dietro alla Cambogia e al Pakistan, come risulta dalla classifica di Reporter Senza Frontiere.

Questo spiega perché, quasi un decennio dopo che Modi ha preso il potere, S&P Global valuta ancora l’India solo un gradino sopra la spazzatura, a BBB.

Un altro indice è quello dell’ultimo anno finanziario, quando gli afflussi di investimenti diretti esteri sono diminuiti per la prima volta in un decennio. Il calo del 16% a 71 miliardi di dollari sembrerebbe in contrasto con un’economia in forte espansione che conquista nuovi convertiti in tutto il mondo.

In un rapporto di marzo, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha affermato che “nell’Asia meridionale centinaia di milioni di persone – non solo in India – sono colpite dalla discriminazione di casta. I sistemi di caste dividono le persone in gruppi sociali disuguali e gerarchici. Quelli in fondo alla gerarchia sono considerati esseri umani inferiori. Negli affari e nella sfera lavorativa la discriminazione di casta colpisce i lavoratori”.

Così mentre per il contesto politico a livello statale l’India si sta riallineando verso una crescita manifatturiera trainata dalle esportazioni, i dirigenti del settore sono ancora preoccupati per la stabilità politica a lungo termine, data la storia movimentata di quel Paese.

Il governo Modi ha assicurato agli investitori di disporre del capitale politico che manterrà la rotta, ma tocca vedere se la la gigantesca burocrazia indiana e il baratro delle diseguaglianze sociali glielo consentiranno.

E per gli investitori globali in procinto di versare 40 miliardi di dollari nel debito indiano, valga un promemoria: la Modinomics non ha trasformato l’economia quanto sperato e quanto necessario. Quindi anche per Wall Steet “adelante pedro…. con judicio, si puedes”.

Balthazar

Related posts

C’è il dopo Sassoli con Roberta Metsola: “Onorerò David

Redazione Ore 12

Pakistan, non è in pericolo di vita l’ex Premier Imran Khan ferito in un attentato

Redazione Ore 12

Il Papa in Kazakistan per il Congresso delle Religioni. Grande assente il Patriarca di Mosca Kirill. Messaggio di Francesco a Mattarella: “Prego per il progresso e la concordia degli italiani”

Redazione Ore 12