Esteri

Perché Hamas ha attaccato sapendo che la vendetta di Israele sarebbe stata spietata? 

di Giuliano Longo

Geremia 51,3-10

3 Non deponga l’arciere l’arco
e non si spogli della corazza.
Non risparmiate i suoi giovani,
sterminate tutto il suo esercito.
4 Cadano trafitti nel paese dei Caldei
e feriti nelle sue piazze,
5 perché la loro terra è piena di delitti
davanti al Santo di Israele.

La “mattanza” di Hamas non pare abbia ottenuto risultati se non la vendetta di Israele , ma non va considerata  solo come una azione terroristica, parliamo  una vera e propria operazione militare semmai paragonabile a quella dell’Isis  che ha insanguinato Iraq e Siria per anni, e oggi quella delle milizie islamiche nell’Africa Subsahariana. 

Nell’immediato Hamas forse ha raggiunto solo il risultato di usare gli israeliani catturati come merce di scambio con i prigionieri politici  detenuti in Israele , ma poco di più, perché    la politica aggressiva  dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme non cesserà , anzi, probabilmente si intensificherà.

Hamas ha  approfittato  delle crescenti tensioni (attentai e tentativi di rivolta) che hanno reso necessario lo spostamento delle forze israeliane dal sud al nord per proteggere gli insediamenti, fornendo alla sue milizie  sia una giustificazione che un’opportunità per attaccare.

Ma nell’azione per certi versi criminale di Hamas, c’è  anche l’intenzione di impedire la normalizzazione arabo-israeliana che diminuisce l’importanza della questione palestinese nel mondo arabo,  con Paesi sempre  meno propensi a fare pressione su Israele. L’eventuale  accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, avrebbe rappresentato un punto di svolta nel conflitto arabo-israeliano,  eliminando le già deboli possibilità di una soluzione a due Stati.

Hamas si è rafforzata dopo essere riuscita a riallacciare i suoi legami con l’Iran. Negli ultimi anni, il movimento ha dovuto riconsiderare la sua posizione politica assunta in seguito alla Primavera Araba del 2011, allora in opposizione all’Iran e al suo alleato, il regime siriano.

Una delegazione di Hamas ha visitato Damasco nell’ottobre 2022 e il suo capo dell’ufficio politico Ismail Haniyeh si è recato a Beirut in aprile e a Teheran in giugno. Proprio il mese scorso, Nasrallah, segretario del partito sciita Hezbollà,  ha ospitato il segretario generale della Jihad islamica palestinese Ziad al-Nakhalah e il vice capo dell’ufficio politico di Hamas Saleh al-Arouri.

L’Iran ha negato il coinvolgimento diretto nell’operazione di Hamas, ma ha espresso il suo sostegno (ai limiti dell’entusiasmo). Il generale del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Yahya Rahim Safavi ha affermato “sosteniamo questa operazione e siamo sicuri che anche il fronte della resistenza sostenga questa questione”. 

Tuttavia, ciò non significa che ci sarà un fronte unito per affrontare Israele. Hezbollah, ad esempio, non si è unito alla lotta e attualmente la politica interna libanese non favorisce un conflitto con Israele. Ciò che Hezbollah sta cercando di fare è dissuadere l’esercito israeliano dallo spingersi troppo oltre nella sua vendetta contro Hamas a Gaza, aumentando così la pressione sul confine libanese. 

Il suo bombardamento delle posizioni israeliane è molto probabilmente destinato ad avere un effetto psicologico piuttosto che militare,  inoltre ha scelto di non reagire in modo eccessivo in relazione all’uccisione di tre dei suoi membri a causa dei bombardamenti israeliani.

La leadership di Hamas ha affermato che gli obiettivi degli attacchi sono porre fine alle “violazioni israeliane”, garantire il rilascio dei prigionieri palestinesi e “ritornare al progetto di creazione di uno Stato”.  Ma oltre a queste affermazioni il movimento   non ha una strategia  per procedere verso la “creazione di uno Stato” palestinese e non può averne una separata dall’Autorità Palestinese nella Cisgiordania occupata. Con le autorità della quale Hamas è spesso in conflitto politico e ideologico.

Israele sta decidendo se intraprendere un’invasione di terra generalizzata sulla Striscia e se vale la pena sostenerne i costi militari e politici. Che si proceda o meno, prima o poi la sua operazione militare, compreso il bombardamento della Striscia, dovrà finire. A quel punto, Israele dovrà chiedere, forse  all’Egitto, di mediare una sorta di conclusione di questa escalation e un accordo per lo scambio di prigionieri.

Gli Stati Uniti, da parte loro, dovranno per ora sospendere i loro piani di mediazione e normalizzazione. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken era atteso in Israele e Arabia Saudita alla fine di questo mese per discutere i colloqui di normalizzazione, ma i suoi piani sono cambiati e ora includono una visita in Giordania.

Considerato l’attuale stato d’animo dell’opinione pubblica nel mondo arabo dopo l’attacco a Gaza, sarebbe troppo complicato portare avanti i colloqui su un accordo israelo-saudita. Molto probabilmente, questi colloqui verranno accantonati dai sauditi nel breve termine, ma non necessariamente cancellati .

Questi sviluppi vanno a favore dell’Iran. Con il processo di normalizzazione arabo-israeliano arrestato, Teheran può ora fare pressione sugli Stati Uniti affinché rientrino in un accordo nucleare di qualche tipo che allenterebbe parte delle sanzioni sull’economia iraniana.

Ma qualunque sia la mediazione che verrà effettuata, difficilmente riuscirà ad affrontare le cause profonde del conflitto. Non sembra esserci alcuna volontà politica in Israele di affrontare questioni come l’incarcerazione dei palestinesi, il congelamento dei fondi palestinesi, le gravi condizioni socioeconomiche a Gaza e nella Cisgiordania occupata, o la continua espansione degli insediamenti. 

Ciò significa che il conflitto israelo-palestinese continuerà a peggiorare e a produrre cicli di violenza.

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