Politica

Premierato, l’opposizione dice no. Tranne Matteo Renzi

 

di Fabiana D’Eramo

 

A nessuno all’opposizione piace il premierato. Salvo a Matteo Renzi. Il disegno di legge che il governo ha approvato in Consiglio dei Ministri potrebbe forse essere per Giorgia Meloni quello che il referendum costituzionale del 2016 fu per lui? La premier non teme affatto di non arrivare alla fine del mandato, nonostante non solo il leader di Italia Viva, ma anche Giuseppe Conte abbia agitato il rischio di un destino condiviso. Al contrario, Meloni ritiene obbligatorio approfittare del fatto di essere ora “stabili e forti” per restituire agli italiani e alla sua stessa maggioranza il tanto agognato sogno di avere un governo eletto dal popolo. Pure Matteo Salvini non sta nella pelle – “finalmente niente governi tecnici, ribaltoni, cambi di maggioranze e nomine di nuovi senatori a vita” – ma questo è solo l’inizio: prima che la riforma venga approvata dovremo assistere a molte di queste discussioni.

Dal Partito Democratico ai Cinque Stelle, fino a Calenda, c’è il muro. L’obiezione principale è che si tratta di una riforma che porterebbe a una deriva autoritaria – la “cantilena”, sbuffa Renzi. Invece per Elly Schlein la questione è seria. “Utilizzeremo ogni strumento della dialettica parlamentare contro un disegno che riteniamo pericoloso”, ha detto a Milano all’ottava edizione di Elle Active. Più che la minaccia dialettica in realtà potrà la matematica: alla coalizione di destra non basta il solo appoggio di Italia Viva per ottenere la maggioranza dei due terzi delle camere.

Certo, se otterrà più del 50 per cento potrà sempre ricorrere al referendum popolare. E Meloni dice che è pronta, scongiuri fatti dopo i paragoni con Renzi. Non teme di restare “scornata”, come ha predetto Conte. Ma “quando gli italiani”, ha dichiarato il leader del Movimento, “capiranno che la figura del capo dello Stato viene degradata e umiliata, respingeranno con forza questo progetto.”

Il timore è proprio questo: che la riforma costituzionale spogli i successori di Mattarella di tutti i poteri. Il presidente della Repubblica non ne ha tantissimi – l’Econimist nel 2021 scrisse addirittura che si potevano sintetizzare banalmente in “fare discorsi, conferire onoreficenze e ricevere dignitari” – e se gli si toglie anche la prerogativa di indicare il presidente del Consiglio e di sciogliere le Camere non resta molto da fare al Quirinale. Schelin sottolinea anche che se fra premier e Capo dello Stato uno dei due è eletto direttamente e l’altro no, “è chiaro che questo indebolisce la figura che deve essere ruolo di garanzia”.

Anche l’ex premier e presidente emerito della Consulta Giuliano Amato ha sottolineato questo cortocircuito. Il presidente della Repubblica verrebbe “prosciugato”. Auspica che nel suo iter la riforma si trasformi in un premierato alla tedesca, che rafforza il primo ministro ma non altera l’architettura disegnata dai padri costituenti. Così com’è, invece, il disegno di legge è uno “sconvolgimento proprio in termini tecnici. Cambia radicalmente il nostro sistema di governo fondato sul Parlamento”. Un altro effetto della riforma, infatti, sarebbe quello di indebolire le Camere. Il motivo per cui il nostro sistema si mantiene democratico, nonostante le ripetute accuse della destra di non avere governi eletti dal popolo, è che è il Parlamento l’interprete primo della sovranità popolare, a sua volta fonte di legittimazione degli altri organi costituzionali, compreso il governo. L’approvazione della riforma voluta da Meloni cambierebbe radicalmente tutto.

In che cosa? Il premierato darebbe vita a qualcosa di mai visto prima. Potremmo chiamarlo “l’Italierato”, ipotizza Carlo Calenda. “Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è un Premierato, non è presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo”. Conte confida di sperare che la maggioranza si mostri un filo “più razionale e costruttiva”. Persino Renzi, che si dice prontissimo a votare la riforma pur restando all’opposizione, chiede di rimettere mano al testo.

Perché presentare un simile stravolgimento della Costituizione proprio ora? Schlein suggerisce che sia una bella coincidenza. “Proprio adesso che dovremmo parlare della manovra”, insinua la segretaria. Una manovra che “non investe sui servizi essenziali e tradisce le promesse elettorali fatte dalla destra.”

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