La guerra di Putin

Putin vuole la pace, perché la Russia non può sostenere una guerra che la Nato non vincerebbe

 

di Giuliano Longo

All’ European Defence Agency  la commissaria estone  alla politica estera  europea, Kaja Kallas, ha  battuto il tasto dell’incremento della spesa militare della UE affermando  “dobbiamo spendere di più per prevenire la guerra, ma dobbiamo anche spendere di più per prepararci per la guerra. Mosca resterà una minaccia esistenziale finché continueremo a sotto investire nella nostra difesa”.

Che i piccoli Paesi baltici e forse la Polonia lo scontro diretto con la Russia lo vadano cercando da molto tempo, non è una novità, ma anche molti  leader politici e militari dell’Unione Europea e della NATO sostengono ormai che l’unica via d’uscita per la salvezza del nostro continente sia quella di prevenire l’inevitabile minaccia del Cremlino.

Una narrazione che circola anche se le intenzioni del pacificator Trump sembrano smorzare molti di questi bellicosi bollori, soprattutto oggi che Kiev arretra sui campi di battaglia e non nasconde le proprie paure per un collasso delle sue forze armate.  Quindi che sia ormai inevitabile una invasione russa dell’Europa è solo una narrazione che sino ad oggi ha saldato l’unione fra la la Nato e l’UE.

Ma è davvero credibile?

Certamente non è una narrazione originale, anzi risale agli esordi della Guerra Fredda quando i moderati e la destra italiana paventavano l’arrivo dei cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli nelle fontane di Roma (anche se già  allora non c’erano più i cavalli ma carrarmati e missili).

Eppure è una narrazione che vale  ancora per Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, e la Presidente della Commissione europea Ursula Von Der che in bellicosità (almeno fino a poco tempo fa) fanno a gara (su Borrel stendiamo un pietoso velo poiché tanto se n’è tornato in Spagna).

Che i militari della NATO pianifichino l’eventualità di un attacco russo fa parte del loro mestiere, ma soprattutto mette una pecetta  per mitigare gli insuccessi militari ucraini e i dissidi  tra il governo di Kiev e le proprie forze armate che portò alle dimissioni del comandante in capo Valerii Zaluzhny,  sostituito con il discusso Oleksandr Syrsky.

Si qui la propaganda di guerra, ma la prevista (quasi auspicata?) invasione russa dell’Europa  non è  sostenibile per motivi politici, economici e demografici.

Dal quando Putin è al potere  la  politica estera russa è stata quella del primato di Mosca nello spazio post-sovietico integrando  le ex repubbliche sovietiche con la Russia. Una scelta che ha fatto seguito alla espansione della NATO a Est e spingendo Mosca a consolidare i propri rapporti con Pechino.

La “dottrina” della guerra fredda polarizzata sul confronto Stati uniti Russia, è oggi sostituita da  un mondo multipolare gestito da  grandi potenze: Russia, Cina e India e ovviamente gli Stati Uniti che non rinunciano certo alla loro egemonia.

Questa la ragione per cui Puti, prima dell’invasione, ha gestito  guerre brevi e a bassa  intensità quali il conflitto in Georgia nel 2008, la seconda guerra in Cecenia nel 2008-2009, l’annessione della Crimea e il sostegno alle forze secessioniste del Donbass nel 2014-2015.

Putin inizialmente era convinto che la questione ucraina si sarebbe risolta rapidamente con la caduta del regime di Kiev circondato dalla sue truppe, poi ha legittimato l’invasione al livello interno e  internazionale, soprattutto con l Cina, la sua guerra giustificandola  con una Ucraina  ostile e integrata nella NATO, ovvero con una minaccia esistenziale alla spazio vitale della Russia.

Un diritto di intervenire tacitamente riconosciuto dagli alleati/partner di Mosca a seguito delle  numerose rivelazioni sulle responsabilità degli Stati Uniti e di alcuni suoi alleati, nell’aver preparato il conflitto e nell’averlo provocato facendo fallire i tentativi di pacedi Minsk e Istanbul.

Ma in ogni caso, ulteriori ambizioni di conquiste territoriali sarebbero non solo compromettenti dal punto di vista politico, ma anche impossibili da sostenere sul piano economico e demografico.

L’ economia di guerra sta consentendo alla Russia di sostenere costosissime operazioni militari che potrebbero protrarsi fino al 2025, a meno di sviluppi, ma difficilmente Mosca potrà sostenere, anche nel medio termine, l’ impegno di affrontare gli eserciti dell’Alleanza Atlantica.

Questo anche  perché le priorità di Mosca, una volta concluso il conflitto con Kiev saranno di  ricostituire e aggiornare il proprio esercito, provato dal conflitto ucraino, per presidiare e difendere i territori conquistati.

A fronte di questa prospettiva Zelensky continua tirare la corda per un intervento mililtare diretto della NATO e degli Stati Uniti per scongiurare una totale vittoria di Mosca e la sua sopravvivenza politica senza escludere provocazioni quali gli attacchi dei suoi droni a centrali nucleari russe.

Ma anche se l’andamento favorevole del reclutamento e al fatto che le perdite sono di gran lunga inferiori agli arruolamenti e le cose al fronte giocano a favore di Mosca, è altrettanto vero che l’addestramento di altre sei divisioni, sembra più finalizzato al rischio di un confronto con la Nato che non alla definitiva vittoria in Ucraina. Quindi una posizione difensiva e non aggressiva verso l’Europa.

Inoltre Putin dovrà impiegare una parte dell’esercito per sostenere gli impegni in Africa e dovrà destinare una parte della produzione del comparto militare industriale all’esportazione, interrotta quasi d per sostenere la guerra e ricostituire le scorte per fronteggiare le future esigenze. Quindi per quanto ne dica  ne dica l’alta rappresentate del consiglio europeo Kallas, avrà ben poche risorse per una avventura anche solo contro i parsi baltici.

Non dimentichiamo che nemmeno  l’aspetto demografico favorisce la Russia con una palese contrazione delle nascite e una popolazione maschile al 40%, ribaltando quel trend di crescita demografica registrato dagli anni 60 del secolo scorso per colmare il vuoto dei 25 milioni di morti nella seconda guerra mondiale.

La verità è che la Russia, con una popolazione in calo su una superficie di 17 milioni di chilometri quadrati non è in grado, né vuole  conquistarealtri territori e anzi  si domanda come potrà continuare a difendere quelli che possiede.

Dunque, è molto probabile che il confronto con l’Occidente e l’Europa  destinato a protrarsi  nel tempo, ma non avverrà invadendo la Finlandia, la Svezia, i Paesi Baltici, o attraversando la Polonia, e la Germania. Saranno piuttosto altri “fronti”  di una guerra ibrida, quali l’Africa, a impegnare Mosca con il sostegno a paesi “amici”..

L’Europa non deve prepararsi a una guerra con la Russia perché questa ipotesi è priva di fondamento, e non può continuare a costituire il tema unificatore di una politica estera europea utile solo a quei Paesi  desiderosi di chiudere ad ogni costo i conti della propria storia con Mosca.

D’altra parte non basterebbe un decennio di spese militari al 10% del PIL dei Paesi europei per combattere contro la Russia, ammesso che siano politicamente  disponibili a farlo.

Le stesse élite che ieri non sono state in grado di prevedere che i russi sarebbero entrati in guerra in Ucraina  continuando ad estendere la Nato Est, oggi non riescono a immaginare che la Russia voglia la pace, certamente non perché Putin sia buono e pacifista, ma nell’interesse di quella Grande Madre russa che vuole difendere.

aggiornamento la crisi russo-ucraina ore 14.05

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