Economia e Lavoro

Riuso, un mercato che vale 24 miliardi e 80mila addetti

Nonostante il mercato dell’usato valga già oggi – senza incentivi legati alla riduzione dei rifiuti, e nonostante i limiti normativi – 24 miliardi di euro l’anno (1,3% del PIL), occupi 80 mila addetti e consenta di evitare 4,5 milioni di tonnellate di CO2, da oltre 10 anni si attende il decreto ministeriale per la preparazione al riutilizzo, previsto in attuazione della direttiva quadro sui rifiuti dal decreto legislativo 205/2010. È quanto denuncia EconomiaCircolare.com, web magazine sulle sfide della transizione ecologica, promosso dal CDCA e da Erion Compliance Organization.

se si considera che ogni cittadino europeo consuma in media 15 tonnellate di materie prime all’anno e produce circa 4,5 tonnellate di rifiuti non è difficile comprendere l’importanza del riuso e del riciclo aumentata, tra l’altro, con il periodo di crisi pandemica che ha visto un significativo incremento di acquisti on line di oggetti usati quantificabile intorno a 10,5 miliardi dovuti a una maggiore incertezza per il futuro e una maggiore preoccupazione ambientale.

 L’appello è che il Ministero per la Transizione Ecologica, tramite il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, riduca gli ostacoli e liberi le potenzialità del settore incentivando la diffusione di buone pratiche a livello regionale e locale sia dal punto di vista del cittadino, sia delle imprese (dai centri del riuso ai repair cafè alle aree di libero scambio dove i cittadini possano mettere in vendita i propri beni usati). Essenziali sarebbero alcune misure: dall’introduzione di norme coerenti a livello nazionale (nel milanese, ad esempio, chi vuole aprire un negozio dell’usato deve fare il corso da agente immobiliare), a politiche fiscali mirate, come l’abbattimento dell’IVA (pagata oggi due volte per i beni usati, al momento della vendita come nuovi e di nuovo quando sono rivenduti nei mercatini), la riduzione della tassa sui rifiuti, o sgravi fiscali  sul modello svedese per chi dimostra di aver fatto riparare un bene e ancora forme di incentivazione economica che riconoscano il valore ambientale del riuso.

 Un anello importante di questa filiera sono i centri del riuso. Un censimento ancora in corso[2] ne conta 85, di cui quasi la metà in Lombardia (26%) e in Emilia-Romagna (20,8%), mentre le altre regioni più rappresentate sono Marche, Veneto e Toscana. Nei centri del riuso sostenibilità ambientale e sociale viaggiano a braccetto. Nel 50% dei casi i centri sono nati per rispondere a una motivazione ambientale: ridurre i rifiuti promuovendo il riutilizzo in antitesi alla crescente diffusione, in moltissimi i settori, dell’usa e getta. Il 32% per un insieme di ragioni ambientali e sociali: l’impiego di persone svantaggiate o la cessione di beni a persone bisognose. Il 10% solo sociali e la restante per motivi economici in seguito a finanziamenti. Il legame tra finalità ambientali e sociali trova conferma anche nella natura del gestore dei centri, di solito affidata a cooperative sociali (32%), associazioni del territorio (30%), volontari (20%).

 “Mentre la pandemia manda in sofferenza l’economia e le famiglie – dice Raffaele Lupoli, direttore di EconomiaCircolare.com – il riuso ha sicuramente le carte in regola per essere uno degli attori della ripartenza e della resilienza del Paese, col suo impatto in termini ambientali, economici e sociali. L’idea che ci siamo fatti approfondendo il tema è che c’è una parte di questo settore a forte vocazione sociale e solidale che deve avere la possibilità di mantenere queste caratteristiche, ma dall’altra parte c’è un potenziale ancora inespresso di creazione di valore e di occupazione, in piena coerenza con le indicazioni europee che ci impongono ormai di puntare prioritariamente l’attenzione sulla necessità di allungare il più possibile la vita dei prodotti, di poterli riparare e reimmettere sul mercato, riducendo la quantità di rifiuti in circolazione e il ricorso a discariche e inceneritori”.

 I beni più presenti nei centri del riuso italiani sono abiti, mobili, biciclette, elettrodomestici ed apparecchi elettronici, giochi e libri. In sei centri su 10 si offrono anche servizi di riparazione: soprattutto restauro di mobili (26%), ciclofficine (18%), riparazione di elettrodomestici (11%), piccoli lavori di sartoria (5%).

Related posts

  Pnrr, aperto il tavolo di confronto con le parti sociali

Redazione Ore 12

Dl Aiuti: via libera a migranti in 9mila fattorie sociali

Redazione Ore 12

Confartigianato-Britaly: “Italia-Regno Unito 4-0 per crescita, investimenti, export e lavoro”

Redazione Ore 12