Esteri

Turchia, l’Europa chiude un occhio alla repressione di Erdogan e guarda al suo esercito

 

di Giuliano Longo

L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu ha scosso la politica turca e riacceso le tensioni a livello popolare, mentre l’Europa va saldando nuove relazioni  con la Turchia e la Russia allenta le proprie.

L’astuzia di Recep Tayyip Erdoğan che gli ha permesso di eliminare il proprio principale avversario in vista delle future elezioni, coincide con una nuova posizione strategica nei giochi di potere globali, sfruttando il deterioramento delle relazioni transatlantiche e la crisi della sicurezza europea.

Fino a poco fa la Turchia era vista con sospetto dalle elite europee per le tensioni con la Grecia, le violazioni dei diritti umani e il mancato allineamento con le politiche NATO. Ancora più sospette le sue relazioni con Mosca fondate anche su una solida rete di lucrosi affari che gli ha anche permesso di eludere le sanzioni contro la Mosca.

 Il tentativo turco di entrare nell’Unione Europea (UE) è rimasto bloccato per anni, e persino all’interno della NATO Ankara è stata spesso considerata un alleato difficile, ciò non toglie che abbia riempito le tasche del potere turco con miliardi destinati al contenimento del flusso di migranti in fuga dalla guerra civile siriana.

Ma è proprio ora che i rapporti internazionali volgono a suo favore con la caduta di Assad e il condizionamento del nuovo governo dei Jiadisti siriani, che tuttavia contrappone gli interessi di Erdogan a quelli di Netanyahu.

Da questo momento l’Europa gli delega entusiasticamente uno spazio imprevisto nella situazione mediorientale in contrapposizione a Teheran e Mosca nel tentativo di mantenere un equilibrio a Damasco non ancora del tutto consolidato.

L’unica faglia di rottura potrebbe venire proprio da Tel Aviv sostenuta ad oltranza da Trump che di Erdogan non si fida poi tanto, nonostante (o forse soprattutto) come membro importantissimo della NATO.

Ankara infatti dispone delle forze armate più potenti della NATO dopo gli Stati Uniti, con 400.000 soldati, un imponente arsenale e un’industria militare di primo livello che già esporta su tutti i fronti bellici o di tensione globale, comprese Russia e Ucraina. .

 Non a caso, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan è stato  invitato al vertice sulla sicurezza in Ucraina di Londra, mentre il segnale è venuto dal  Parlamento europeo, che in fatto di democrazia usa criteri di convenienza, che  ha incluso la Turchia nel nuovo “white paper” sul riarmo europeo, aprendo la strada a una cooperazione  stretta nel settore della difesa.

 Ma le ambizioni di Erdogan che con la resa di Erdogan e del PKK pensa di essersi gettata alle spalle la questione curda, vanno ben oltre e guardano al Caucaso e all’Asia Centrale le cui rotte energetiche conterebbe di controllare. Ma quanto sta accadendo fra Russia e Stati Uniti, proprio su questo settore strategico potrebbe rompergli i denti in mancanza di un peso finanziario che nemmeno gli armamenti gli garantiscono.

Tornado all’Europa, ambienti diplomatici ritengono che dietro al recente e imprevisto attivismo del segretario generale dell’ONU per la riapertura delle trattative di pacificazione a Cipro, potrebbe esserci la manina di Bruxelles che, senza più i timori della Grecia, potrebbe facilitare enormemente il coinvolgimento della Turchia nelle nuove strutture di sicurezza europee.

Se queste sono le posizioni di forza di Erdogan è comprensibile che le democrazie europee chiudano un occhio sull’operato della satrapia turca che invece sta ampiamente sfruttando l’opportunità che Van der Leyen e soci le stanno offrendo.

Mentre lui intensifica la repressione in patria per eliminare qualsiasi opposizione, instaurando una sorta di nuovo sultanato che estenda la sua influenza su tutte le popolazioni turcofone che vanno dal vicino e nemico Iran al Kirghizistan ai confini con l’Afganistan.

Sul piano geopolitico Erdoğan propone all’Europa uno scambio implicito: maggiore cooperazione e moderazione sul fronte internazionale e raffreddamento dei rapporti con Putin, in cambio di un silenzio sulle derive autoritarie interne.

In teoria il patto, non troppo lungimirante, non tiene conto delle numerose situazioni aperte, se non pericolosamente pencolanti, quali il ruolo turco in Siria e Libia, dove Erdoğan continua a perseguire una politica aggressiva.

Almeno sino a quando i nuovi dioscuri Trump e Putin, una volta risolti gli affari (è proprio il caso di dire) loro decidano di tagliare le unghie al sultano che ha tanti soldati in armi, ma una inflazione mostruosa e sacche di miseria diffuse nel suo Popolo che peraltro ogni tanto alza la testa e gli fa tremare il trono.

Poichè è vero che oggi il mondo vede assetti multipolari (Cina, India, USA, Russia, Europa, aree Brics) ma la Turchia da sola un polo non è. Questo il motivo per cui è costretta a battere ora con uno o con l’altro di questi poli veri e veramente potenti.

Quanto alle scelte di Questa elite Europea non è detto che siano sempre strategicamente lungimiranti, anzi….

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