Politica

Una mozione, tante assenze: il giorno mancato del Campo Largo

di Viola Scipioni

Durante il pomeriggio di mercoledì 16 aprile, a Palazzo Madama (nella foto), è andata in scena un’occasione mancata per la politica italiana. Un evento organizzato dal senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto ha ospitato due voci fuori dal coro: Hamza Howidy, attivista palestinese in esilio, e Mohammad, in collegamento da Gaza, tra i promotori del movimento “Vogliamo vivere” che si oppone alla dittatura di Hamas. Testimonianze di coraggio e di resistenza civile, accolte non da un fronte unito, ma da un’aula spaccata, soprattutto a sinistra.

Il giorno prima, Elly Schlein lo aveva definito «il giorno dell’unità», annunciando con Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli una mozione congiunta per chiedere al governo italiano di riconoscere lo Stato palestinese. Ma quella stessa unità è venuta meno quando si è trattato di ascoltare chi, da palestinese, denuncia ogni giorno la brutalità e il ricatto del regime di Hamas.

«A dieci anni vedevo le persone buttate giù dai palazzi e non capivo il perché», ha raccontato Howidy, parlando delle torture e degli arresti subiti dal gruppo terrorista che domina Gaza. Mohammad, nascosto per motivi di sicurezza, ha rincarato la dose: «Hamas non negozia per noi, ma per restare al potere. Hanno perso ogni legittimità». Denunce forti, dirette, che in un Parlamento europeo avrebbero meritato l’ascolto dei leader del centrosinistra. E invece, proprio loro, i firmatari della mozione, hanno scelto di non esserci.

Assenti ingiustificati Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli. Presenti invece diversi esponenti riformisti del Pd, tra cui Graziano Delrio, Filippo Sensi, Lia Quartapelle, Alfredo Bazoli e Piero Fassino, Vicepresidente della Commissione Difesa della Camera, da sempre vicino al mondo ebraico. «Si dice che io sia il principale sionista della sinistra», ha ironizzato Fassino, consapevole della solitudine politica nella quale si è trovato a rappresentare l’opposizione.

La loro assenza pesa ancora di più se si considera la durissima reazione della Comunità ebraica di Milano alla mozione del Campo Largo. Il Presidente Walker Meghnagi ha parlato di un «festival dell’ipocrisia e dell’odio jihadista contro Israele e gli ebrei». E ha attaccato frontalmente i proponenti: «dove vivono? Hanno mai parlato con la sinistra israeliana? Le loro proposte sono lunari. Parlano di riconoscere uno Stato democratico, ma dimenticano che Hamas uccide e imprigiona i dissidenti, incita all’odio e compie attentati. Per loro solo Israele è colpevole».

Proprio per questo, partecipare all’evento organizzato da Scalfarotto sarebbe stato un segnale importante. Non solo per marcare una distanza netta da Hamas, ma anche per mostrare coerenza verso quei valori democratici che i firmatari della mozione dicono di difendere. «Non lavorano per la pace», ha tuonato Emanuele Fiano, ex deputato Pd e Presidente dell’associazione “Sinistra per Israele”, che ha bollato la mozione come un atto miope e divisivo.

Una frattura, quella nel Partito democratico, che ormai appare evidente. Una divisione non solo sulle parole, ma sui gesti. Perché mentre i riformisti del Pd ascoltavano la voce della dissidenza palestinese, i leader del Campo Largo hanno voltato lo sguardo dall’altra parte. Lontano dal Senato, lontano da Gaza, lontano dai problemi reali di chi, in Palestina, rischia la vita ogni giorno anche per colpa di Hamas.

E così, quella che poteva essere una giornata di reale vicinanza al popolo palestinese, si è trasformata nell’ennesimo cortocircuito ideologico. Una grande occasione persa.

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