Primo piano

Venezia e la crisi climatica, una questione globale

 

di Sara Valerio

Il grido di allarme per la città di Veneziaè solo l’ultimo in ordine cronologico. Le scorse settimane il rapporto del World Heritage Centre dell’UNESCO, ha denunciato “danni irreversibili” sulla città per gli effetti del“continuo deterioramento dovuto all’intervento umano, compreso lo sviluppo urbanistico, gli impatti del cambiamento climatico e il turismo di massa” raccomandando “l’iscrizione nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità in pericolo”.Per le sue condizioni eccezionali, uniche al mondo, Venezia è al tempo stesso tra le città più visitate e più fragili del pianeta. Le osservazioni degli esperti saranno ora esaminate dal Comitato mondiale del Patrimonio e per essere attuate, dovranno essere votate dagli Stati membri a settembre.

La sola richiesta è di per sé rilevante perché certifica la gravità della situazione, paragonabile a quella delle città di Kiev e Leopoli, devastate dalla guerra, per le quali è stato raccomandato l’inserimento nella lista oppure a quella di Odessa, di Timbuktu in Mali e di diversi siti della Siria, Iraq e Libia, già sotto protezione.

Quando pensiamo alle conseguenze dei cambiamenti climatici ci vengono in mente lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, la desertificazione e le inondazioni, gli incendi e gli uragani. Condizioni che creano gravi danni all’ambiente umano, alle coltivazioni e alle riserve naturali di acqua potabile. Quello a cui in genere non si pensa è che le alterazioni del clima costituiscono un grande pericolo anche per l’integrità delle opere d’arte.

Tuttavia, se Venezia è in cima alla lista, già nel 2015 uno studio dell’Ispra-Iscr (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e Istituto superiore per la conservazione e il restauro) denunciava che, solo in Italia, oltre 28mila siti culturali erano in pericolo.

Nel 2018 la rivista Nature Communications pubblicava uno studio con una lista di 49 siti culturali e artistici, riconosciuti dall’Unesco, che rischiavano di riportare gravissimi danni entro il 2100, per l’innalzamento del livello del mare; tra questi, in Italia, Venezia e Aquileia, le Ville Palladiane in Veneto e il Parco archeologico di Paestum. Patrimoni dell’umanità che entro la fine di questo secolo rischiano di essere gravemente danneggiati o addirittura distrutti.

Ulteriori esempi egli impatti negativi degli eventi climatici estremi, purtroppo, si riscontrano sempre più frequentemente nel mondo.

Nell’ottobre 2012, l’alluvione causata dall’uragano “Sandy” ha inondato il 75% della Liberty Island, l’isola sulla quale sorge la Statua della Libertà. Le piogge sempre più violente e il rafforzarsi dei venti stanno contribuendo al deterioramento delle pietre del celebre sito neolitico di Stonehenge con i suoi 4.500 anni di storia. La zona di permafrost delle Montagne d’Oro dell’Altaj nella Russia asiatica, ai confini con la Cina e il Kazakistan, rischia di sciogliersi danneggiando le testimonianze di metallo e i corpi mummificati della cultura scita, civiltà nomade del primo millennio A.C., in essa conservate.

I maggiori problemi si registrano in Medio Oriente e in Nord Africa. È il caso del castello di Gerdkuh, fortezza del XI secolo situata nell’Iran orientale a rischio erosione a causa dei forti venti e delle prolungate tempeste di sabbia. In Iraq, a Babilonia, nel tempio di Ištar, la base delle mura si sta sgretolando perché il sale, in aumento a causa dell’innalzamento del livello dei mari, si accumula e si cristallizza, frantumando i mattoni. Le tempeste di sabbia, sempre più prolungate, si abbattono sul minareto di Samarra, antica città sulla riva est del Tigri e il deserto si appresta a inghiottire Umm al-Aqarib, l’antica Umma dell’epoca sumera.

Ma come agire per cambiare la situazione? Abbiamo di fronte una sfida complessa: da un lato la necessità di contribuire, attraverso la ricerca e la realizzazione di progetti, alla conservazione del patrimonio culturale e dell’insieme delle testimonianze che il passato ci ha consegnato; dall’altro la necessità di favorire un contestuale processo di crescita di consapevolezza diffusa che porti nel tempo ad una radicale trasformazione dei comportamenti collettivi e individuali. L’emergenza climatica richiede un profondo e radicale cambiamento di mentalità: una trasformazione dei modi di pensare e vivere l’ambiente che ci circonda. Cambiamento che può avvenire solo all’interno della sfera culturale, anche grazie ad attività di sensibilizzazione e formazione.

A livello politico sono stati compiuti numerosi passi in avanti negli ultimi anni: nel 2015, l’anno dell’Accordo di Parigi, gli Stati membri dell’ONU si sono impegnati nell’adottare l’Agenda 2030 e i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Tra questi si fa specifico riferimento al potenziamento degli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo. Nel luglio del 2021, i Ministri della Cultura del G20 hanno approvato alla unanimità la Dichiarazione di Roma, che va ad affrontare il cambiamento climatico attraverso la cultura, la tutela e promozione della cultura e dei settori creativi come motori per una crescita sostenibile ed equilibrata, la protezione del patrimonio culturale e non solo.

Cultura e patrimonio culturale sono dunque uno dei contesti chiave per il cambiamento e possono diventare il motore di un processo di trasformazione individuale e collettiva a livello sociale, comportamentale ed ambientale.

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