Medicina

Via libera al polatuzumab, terapia innovativa per linfoma diffuso a grandi cellule B

Il polatuzumab vedotin potrà essere somministrato ai pazienti adulti in associazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone sintetizzate nella sigla R-Chp 

 

MILANO – Per la prima volta negli ultimi venti anni, l’Agenzia italiana del Farmaco ha dato il suo ok a una terapia innovativa per il trattamento in prima linea dei pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B, il tipo di cancro aggressivo più comune tra quelli che colpiscono il sistema linfatico. Con 500mila nuove diagnosi all’anno in tutto il mondo – poco più di 13mila casi solo in Italia soprattutto tra gli over 65, ma non sono infrequenti pazienti con più di 40 anni – arrivare a un farmaco per contrastare il progredire della malattia era da tempo uno degli obiettivi della ricerca. Ora l’Aifa lo ha approvato.

 

Si tratta del polatuzumab vedotin, che potrà essere somministrato ai pazienti adulti in associazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone sintetizzate nella sigla R-Chp. Il sì dell’Aifa è arrivato dopo che lo studio Polarix – portato nel nostro Paese da Roche Italia – ha dimostrato che la combinazione di polatuzumab e R-Chp riduce del 27% il rischio di progressione della malattia, ricaduta o morte.
Per quanto in moltissimi casi il linfoma diffuso a grandi cellule B venga contenuto bene dai trattamenti iniziali, quasi il 40% di chi ne è affetto sperimenta una seconda fase aggressiva della patologia. Con la somministrazione della nuova terapia a base di polatuzumab questa percentuale è destinata a ridursi, come è emerso dalla fase tre dello studio Polarix, che ha coinvolto 879 pazienti.

 

Che cos’è esattamente il polatuzumab? A spiegarlo è il dottor Antonello Pinto, direttore medico dell’Istituto dei Tumori di Napoli, Fondazione ‘G. Pascale’: “È un farmaco iniettato in vena al paziente che si basa sull’utilizzo di un anticorpo che riconosce un antigene, una proteina espressa dalle cellule B del linfoma. Una volta che l’anticorpo si è legato all’antigene, rilascia all’interno delle cellule una tossina, il vedotin, che inibisce la costruzione dei microtubuli durante la riproduzione cellulare e impedisce la replicazione della cellula malata. Si tratta di una modalità terapeutica che, oltre a essere innovativa, contribuisce a preservare e migliorare la qualità della vita dei pazienti”, ha sottolineato il dottor Pinto.

 

D’accordo con il collega anche il professor Maurizio Martelli, direttore di Ematologia al Policlinico Umberto I di Roma. “Celebriamo un importante passo avanti nella lotta contro il linfoma diffuso a grandi cellule B. La decisione dell’Aifa apre le porte a una nuova era di trattamento per i pazienti di recente diagnosi”, ha affermato.

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