Politica

Vince la linea Meloni: il centrodestra trova l’intesa sul premier e i collegi uninominali

di Fabiana D’Eramo

La regola del 2018 è salva. Il partito del centrodestra che prenderà più voti il 25 settembre avrà l’onere e l’onore di scegliere il nome del prossimo premier. Una vittoria per la favorita ai sondaggi, Giorgia Meloni. Ma Matteo Salvini e Silvio Berlusconi parlano, almeno a microfoni aperti, non con meno soddisfazione ed ottimismo. Questo è quanto è emerso alla fine dell’ultimo vertice. Fuori dalle ville del Cavaliere, nella solennità di Montecitorio, a un piano di distanza dal Pd di Enrico Letta, il patto sulla premiership suggella l’intesa tra le destre. Non è stata rottura. E adesso si parte. Ora la strategia, il programma di governo, la spartizione dei collegi, i ministri.

Così, dopo una settimana in cui ha martellato la sua richiesta – “Rispetto delle regole. Che non si cambiano se chi può vincere, stavolta, siamo noi” – la leader di Fratelli d’Italia è arrivata al vertice con una preoccupazione: la ghettizzazione, che Lega e FI avanzassero proposte alternative per toglierle lo scettro del centrodestra, che, se si votasse oggi, spetterebbe senza dubbi a lei. Altrimenti sarebbe stata disposta a correre da sola. Poteva farlo. I numeri parlano.

Ma non è stato necessario. Anche uniti, i suoi alleati ne sarebbero usciti devastati. Salvini e Berlusconi lo sanno, e con questa amara consapevolezza si sono consegnati nelle mani dell’alleata più forte. “Noi”, ha detto infatti Meloni, “ci siamo dimostrati generosi”. E anche sui collegi: “potevamo chiedere di più, ma abbiamo accettato di venir loro incontro, ovviamente dopo aver scartato proposte o algoritmi inaccettabili.” E sa che il fronte più difficile da affrontare ora torna ad essere quello a sinistra. Dimostrare che nel suo partito non c’è alcuna matrice fascista, e che anche la stampa estera, da lontano, ha preso un abbaglio. Dimostrare che anche agli estremi si può essere moderati. Ma non essendo moderati nei programmi, piuttosto fagocitando la destra moderata che, almeno per ora, resta agli ordini di Berlusconi. “Farci carico noi della maggior parte dei candidati centristi va bene, sia perché siamo il partito maggiore oggi, sia perché a differenza di quanto dicono siamo inclusivi e vogliamo accogliere anche i moderati nelle nostre liste.”

Il leader di FI commenta che “Giorgia Meloni, come Matteo Salvini, come tanti esponenti di Forza Italia e degli altri partiti della coalizione, ha tutte le carte in regola e l’autorevolezza per guidare un governo di alto profilo, credibile nel mondo, saldamente legato all’Europa e all’Occidente”. E a proposito della corsa fuori dal partito dei suoi, si dice “amareggiato”, ma in fin dei conti lo fa “sorridere”: “ho continuato ad illudermi fino all’ultimo che prevalessero le ragioni della coerenza ed anche della convenienza. Hanno rinnegato non me, ma i loro elettori, la loro storia, la loro vita. L’idea di un centro disancorato dal centro-destra porta ovviamente a creare un finto centro, alleato alla sinistra. Quello che mi lascia esterrefatto è che persone con la nostra storia e i nostri valori pensino di poter stare in quel progetto, in quel Campo Largo sempre più simile ad un Campo Santo”. Il centrodestra non ha nulla da temere, a detta del leader di FI, nei confronti dell’opposizione. “Esce unito, non sui posti ma sulle idee, sul programma, sui progetti per l’Italia e”, adesso, “anche sui criteri per indicare il candidato premier”. Unione, dunque. Governare insieme, senza che un anello appaia più debole dell’altro. Lo rimarca, Berlusconi, soprattutto dopo i malumori per quanto riguarda l’assegnazione dei 221 collegi uninominali. La spartizione definita prevede 98 seggi a FdI, 70 alla Lega, e 42 a Forza Italia, compreso l’Udc, e 11 a Noi con l’Italia più Coraggio Italia. L’intesa di fatto c’è stata, eppure secondo il Cavaliere i conti non si dovevano fare in base alle previsioni di voto. “I sondaggi attuali non sono veritieri e corretti perché adesso danno Forza Italia al 10 per cento”, spiega il leader di FI, “ma quando inizierò a fare campagna elettorale e andrò in tv, le cose cambieranno e passeremo al 20 per cento”.

A chi dice che abbia vinto la linea Meloni, Salvini, che “per motivi personali” ieri sera ha abbandonato in anticipo il vertice, risponde che “è passata la linea del buonsenso. Non è la linea di Meloni, Salvini o Berlusconi”. E poi, immancabile, ricorda che “decidono gli italiani”. È però vero che è Giorgia Meloni a segnare il punto. La regola del “chi riceve un voto in più fa il nome del premier” spiana la strada al suo partito. Laconico, Salvini, non esprime malumori o preoccupazioni. Lo stesso atteggiamento adottato di fronte alle recenti accuse, riportate da un articolo de La Stampa, secondo le quali ripetuti contatti leghisti con diplomatici e politici russi nei giorni di fine giugno abbiano lavorato a favore della caduta del governo Draghi. “Fesserie”, liquida il leader della Lega. E rivendica sorridente che la sua squadra è compatta e pronta a vincere le prossime elezioni.

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