Politica

Cerimonia del Ventaglio, Capo dello Stato a tutto campo: clima, autonomia della magistratura, informazione, Pnrr e multilateralismo,

 

“Le terribili immagini” delle catastrofi che hanno colpito varie regioni italiane “legate alle conseguenze del cambiamento climatico”, sono tali che “tante discussioni” sulle loro cause “appaiono sorprendenti. Occorre avere la consapevolezza che siamo in ritardo”, per contrastare il cambiamento climatico. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia del Ventaglio. Ma il Capo dello Stato ha detto molto di più, parlando, oltre che di clima, anche di autonomia della magistratura, ruolo dell’informazione, multilateralismo e Pnrr, ma andiamo a vedere nel dettaglio l’intervento del Capo dello Stato: “Innazitutto benvenuti.

Grazie del ventaglio. In questi giorni se ne apprezza di più l’utilità. Certo, è uno strumento forse divenuto obsoleto rispetto ai nuovi mezzi di oggi per difendersi dal caldo, ma il suo significato rimane pieno, anche perché si traduce in una splendida opera d’arte.

Faccio i miei complimenti, con convinzione, a Giorgia Baroncelli e all’Accademia delle Belle Arti.

Lei, caro Presidente, ha posto all’attenzione tanti argomenti. Capisco la sottolineatura dell’utilità delle conferenze stampa, ma non vorrei trasformare in conferenza stampa questo tradizionale appuntamento.

Nel suo intervento davvero interessante, per il quale la ringrazio, lei ha posto alla conclusione il valore dell’informazione. Questa stessa considerazione mi induce ad assumerlo per primo.

Così come lei ha pensato di sottolinearne l’importanza, concludendo, io vorrei sottolinarne l’importanza aprendo con questo argomento.

Il bene dell’informazione è strettamente legato a quello della libertà.

La democrazia si nutre della libertà di parola e di espressione, come ricordò Franklin D. Roosevelt nel suo famoso discorso del 1941.

Finché l’informazione era veicolata attraverso la carta stampata, fondamentale, per potervi accedere, era l’alfabetizzazione dei cittadini. Con la radio e la tv l’accento si è spostato sulla capacità critica con cui valutare il panorama informativo offerto.

Oggi, nell’epoca del web e dei Social, i due aspetti coincidono.

Vi è infatti più che mai, a fronte di un’abbondanza di mezzi di diffusione – alla quale, per la verità, non corrisponde obbligatoriamente una pluralità di contenuti – l’esigenza di una “alfabetizzazione” digitale e quello della crescita di una capacità critica rispetto all’offerta, per non essere in uno scenario che veda la propaganda sostituirsi ai fatti.

I giornalisti sono questo: testimoni di verità, spesso a prezzi molto alti. Penso ai numerosi inviati uccisi nella guerra condotta dalla Federazione Russa all’Ucraina.

Vite sacrificate per svolgere quel servizio alla conoscenza che crea consapevolezza rispetto al velo dell’ignoranza dei fatti.

Esiste, naturalmente, anche una quotidianità dell’informare che non si nutre solo di comportamenti eroici ma che deve obbedire agli stessi canoni deontologici, perché contribuisce a irrobustisce la nostra cittadinanza democratica.

All’informazione libera e indipendente, che ogni giorno, in ogni luogo e in ogni ambito, illumina le zone d’ombra per consentirci la formazione di un’opinione consapevole, le istituzioni devono riconoscimento e tutela massima.

Perché l’informazione libera e indipendente è l’antidoto alle forme più diverse di disinformazione che in modo massiccio si propalano nei sistemi delle comunicazioni digitali. La sua funzione deve essere quindi garantita, con rinnovato impegno, nelle nuove architetture tecnologiche che stanno ridisegnando i nostri modelli di convivenza rifuggendo ogni tentazione di subordinarla a velleitarie, se non confuse, iniziative di controllo.

E i giornalisti devono essere al riparo da ogni forma di intimidazione.

L’effettiva libertà di stampa ha valore universale e, in questo ultimo anno, le istituzioni dell’Unione Europea hanno riservato diverse azioni a sostegno dell’indipendenza e della libertà dei media e per la tutela dei giornalisti, insieme alla nuova regolamentazione dello spazio digitale europeo.

Sono questioni cruciali per il dispiegarsi, nel tempo nuovo, dei contenuti dell’articolo 21 della Costituzione. Questo – per quanto riguarda il nostro Paese – è sostanziato anche dal necessario sostegno della Repubblica alle relative iniziative editoriali, con la garanzia di parità di accesso al mercato per le imprese, e di rispetto delle regole che riguardano la professione giornalistica.

Il contratto di lavoro dei giornalisti – scaduto ormai da anni – costituisce il primo elemento dell’autonomia della categoria.

Vorrei ribadire che è compito dei giornalisti essere certificatori di fronte alla pubblica opinione della corrispondenza tra i fatti e la loro rappresentazione, concorrendo così all’esercizio di democrazia costituito dall’informazione.

L’autenticità dell’informazione è affidata, dalle leggi, alla professionalità e alla deontologia di ciascun giornalista.

Sarebbe fuorviante – e contraddittorio con le stesse disposizioni costituzionali – immaginare che organismi terzi possano ricevere incarico di certificatori della liceità dei flussi informativi.

Vorrei sottolineare anche il valore del pluralismo delle opinioni, delle differenti sensibilità interpretative. Per fortuna quando si cerca di eliminarle non vengono escluse ma alimentate.

L’informazione ci ha consegnato, da recente, ancora una volta, immagini di migranti tragicamente morti nel deserto o in mare.

Sono immagini che feriscono le nostre coscienze: non è pensabile che nell’animo umano vi sia un tale cinismo che lasci indifferenti.

Le nostre coscienze e le nostre responsabilità ne vengono interpellate.

I numeri delle migrazioni e le percentuali di incremento o decremento non possono essere un paravento. Dietro numeri e percentuali vi sono singole persone umane, con la loro vita, le loro speranze, il loro futuro, che sovente vengono cancellati.

Non si può rimuovere questa realtà, ignorandola: si tratta di un fenomeno globale, presente in tutti i continenti, che muove da tante cause e tra queste da quella prodotta da un mondo sempre più interconnesso e ravvicinato tra le sue varie parti, anche tra quelle che prima apparivano assolutamente distanti.

Si tratta di un tema che riguarda tutti i Paesi, non soltanto l’Italia.

Da noi il fenomeno è più evidente per gli arrivi dal mare, presso altri Paesi dell’Unione è meno visibile ma è anche, talvolta, più ampio e consistente.

È stato importante l’evento promosso dal Governo domenica scorsa sul fenomeno migratorio.

È di grande rilievo il risultato di condividere riflessioni e progetti di iniziative in sede internazionale, in cerchi sempre più ampi: perché venga affrontato dalla comunità internazionale come fenomeno globale, quale è, tenendo conto delle molteplici cause che lo determinano, dell’impossibilità di eluderlo, della necessità di soluzioni condivise nella comunità internazionale.

È molto importante anche aver conseguito il coinvolgimento dell’Unione Europea sul fronte delle migrazioni; coinvolgimento manifestato dalla ripetuta partecipazione della Presidente della Commissione in incontri e in missioni in Paesi di origine e di transito.

Non è ancora, ovviamente, la soluzione. Ne siamo ancora lontani. Ma l’assunzione della consapevolezza di dover governare il fenomeno in sede europea è un risultato, un punto di base, di grande importanza.

Lei ha parlato del PNRR. Ne ho più volte sottolineato la portata decisiva per il nostro futuro.

Vorrei oggi porre in evidenza che non si tratta di una questione del Governo, di questo o dei due governi precedenti, ma dell’Italia.

L’invito a tutti a mettersi alla stanga – per usare ancora una volta questa espressione degasperiana – che mi ero permesso di avanzare tempo addietro, è rivolto appunto a tutti: quale che sia il livello istituzionale, quale che sia il ruolo politico, di maggioranza o di opposizione. Quale che sia il ruolo di soggetti della società riguardo ai temi che il Piano affronta.

Dobbiamo avvertirne tutti il carattere decisivo per l’avvenire dell’Italia e tener conto, pertanto, allo stesso tempo, di non esserne estranei; di esserne, certamente in misure diverse, responsabili; di dover recare apporti costruttivi.

Un eventuale insuccesso o un risultato soltanto parziale non sarebbe una sconfitta del Governo ma dell’Italia: così sarebbe visto e interpretato fuori dai nostri confini e così sarebbe nella realtà.

In questo periodo l’Italia ha vissuto eventi terribili, legati, palesemente, alle conseguenze del cambiamento climatico.

Di fronte alle drammatiche immagini di quel che è accaduto, al Nord, come al Centro, come nel Meridione, tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere per la realtà che stiamo sperimentando, appaiono sorprendenti.

Occorre assumere la piena consapevolezza che siamo in ritardo.

Bisogna agire, da una parte cercando di incrementare l’impegno a salvaguardia dell’ambiente e per combattere le cause del cambiamento climatico.

Sappiamo che sarà un impegno difficile, su scala globale, i cui effetti vedremo nel tempo.

Dall’altro lato, è necessario operare per contenere già oggi gli effetti dirompenti di questi cambiamenti, predisponendo strumenti nuovi e modalità di protezione dei territori, che consentano di prevenire e attenuare gli effetti dei fenomeni che si verificano sempre più di frequente.

Disponiamo anche di un mezzo importante: la solidarietà che ci tiene insieme. Anche in base a questa vi è la necessità di interventi veloci, tempestivi, per rimuovere i danni subiti e per sostenere adeguatamente le persone e le aziende colpite, affinché possano ripartire come desiderano fare, ma come è pressoché impossibile senza aiuti.

Abbiamo visto nei territori feriti dalla recente alluvione in Romagna tantissime persone di buona volontà darsi da fare. Ragazze e ragazzi che, instancabilmente e con straordinaria forza d’animo, spalavano il fango, aiutavano le persone colpite, soccorrevano chi aveva bisogno di aiuto.

La forza che tiene unite le nostre comunità nei momenti più difficili è anzitutto questa generosa e incondizionata disponibilità a esserci. A fare la propria parte, sentendosi responsabili gli uni degli altri. ‘I care’, come diceva don Milani.

Fare la parte propria.

Vorrei declinare questo dovere in maniera completa e conseguente; aggiungendo: non pretendere di fare abusivamente la parte di altri.

Ciascuno faccia il proprio mestiere – come si dice in linguaggio corrente – e cerchi di farlo bene

Auspico, come mi è avvenuto di suggerire in diverse occasioni, che questa stessa consapevolezza – cioè fare al meglio la propria parte – venga anzitutto avvertita da chi ha responsabilità istituzionali.

Più volte è stato ricordato, da molte sedi, l’esigenza ineludibile che i vari organismi rispettino i confini delle proprie competenze e che, a livello istituzionale, ciascun potere dello Stato rispetti l’ambito di attribuzioni affidate agli altri poteri.

Così quanto alla necessità che la Magistratura sia consapevole di esser chiamata – in piena autonomia e indipendenza – a operare e a giudicare secondo le norme di legge, interpretandole, anche, correttamente secondo Costituzione, e tenendo conto che le leggi le elabora e le delibera il Parlamento, perché soltanto al Parlamento – nella sua sovranità legislativa – è riservato questo compito dalla Costituzione.

Allo stesso modo, ovviamente, va garantito il rispetto del ruolo della Magistratura nel giudicare, perché soltanto alla Magistratura questo compito è riservato dalla Costituzione.

Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della Magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate. Non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura.

Così come non sono le Camere a poter verificare, valutare, giudicare se norme di legge – che il Parlamento stesso ha approvato – siano o meno conformi a Costituzione, perché questo compito è riservato, dall’art.134, in maniera esclusiva, alla Corte Costituzionale. Non può esistere una giustizia costituzionale politica.

I ruoli non vanno confusi, anche a tutela dell’ambito di cui si è titolari.

È una doverosa esigenza quella della normale e virtuosa logica della collaborazione istituzionale.

Lei ha parlato del mutamento del quadro internazionale.

L’aggressione della Federazione russa all’Ucraina ha creato una irresponsabile e pericolosa frattura nelle relazioni internazionali.

In queste sale del Quirinale, nel settembre 2021 – appena cinque mesi prima dell’aggressione russa all’Ucraina – il Presidente della Repubblica di Finlandia, Niinisto, avanzava la proposta di una nuova Conferenza di Helsinki, a cinquant’anni da quella sulla pace e la convivenza in Europa del 1973.

Lo faceva nella veste di un Paese da sempre neutrale e che intendeva continuare a svolgere questo ruolo di raccordo. Adesso ha chiesto, e ottenuto, di entrare nella Nato.

Questo caso esprime con chiarezza quanto sia mutato lo scenario in Europa.

Ne risulta accresciuta l’esigenza di adoperarsi per definire e realizzare un più efficace assetto del multilateralismo, necessario da tempo per effetto dei profondi mutamenti nel mondo.

Questo è progressivamente molto cambiato dal 1945 ad oggi. Basta guadare la carta geografica dell’Asia e dell’Africa nel momento in cui nasceva l’ONU. Guardare la curva della crescita delle economie di tanti Paesi di ogni continente, la dislocazione oggi della produzione di beni e di capacità finanziarie nel mondo, profondamente e sempre più diversa nella sua articolazione, per comprendere che tutto questo richiede, per quanto difficile con le tensioni presenti, nuove architetture nella comunità internazionale.

Ne siamo sollecitati ancora una volta dal colpo di Stato odierno in un altro Paese subsahariano, in una Regione che, insieme ad alcuni gravi rifiuti delle iniziative dell’ONU, vede l’inquietante e diffusa presenza della compagnia Wagner.

Queste ovvie, e ben note, considerazioni sono tutt’altro che estranee alla nostra condizione economica, sociale, politica, ma la influenzano e la influenzeranno sempre più.

Richiedono quindi riflessioni politiche adeguate; richiedono che si alzi lo sguardo, si ampli l’orizzonte del confronto e delle iniziative.

Vorrei concludere ribadendo che la Costituzione – a 75 anni dalla sua entrata in vigore – è la guida del nostro agire, fissando principi, valori irrinunziabili, diritti inviolabili, virtuose connessioni con l’Unione europea e con la comunità internazionale.

La Costituzione è un patrimonio comune; che si è arricchito nel tempo grazie a una larga condivisione.

È l’architrave dell’ordinamento giuridico che sostiene il nostro modello sociale.

E continua a indicare sempre obiettivi e un conseguente programma che trova progressiva attuazione nelle misure che Governo e Parlamento assumono nell’interesse generale.

Auguri di buona estate”.

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