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E’ morto il regista Paolo Taviani

Il cinema italiano piange la scomparsa del regista e sceneggiatore Paolo Taviani, scomparso questo pomeriggio, all’età di 92 anni, alla clinica Villa Pia di Roma, dopo una breve malattia. Al suo capezzale erano presenti la moglie, Lina Nerli Taviani, e i figli Ermanno e Valentina.

I funerali laici sono in programma per il 4 marzo, alla Promototeca del Campidoglio dalle 10 alle 13.

Insieme con il fratello Vittorio, morto nel 2018, Tajani rivoluzionò il cinema italiano. L’ultimo film, “Leonora addio”, creato senza l’aiuto del fratello, fu presentato in concorso al Festival di Berlino, nel 2022, e racconta il viaggio delle ceneri di Luigi Pirandello da Roma ad Agrigento, quindici anni dopo la morte dello scrittore Premio Nobel: “Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando”, aveva raccontato.

Il film venne montato in bianco e nero, una sorta di omaggio ai lavori degli esordi con suo fratello, negli anni ’50. Entrambi erano nati a San Miniato da una famiglia borghese, e, dopo essere stati suggestionati da “Paisà” ed essersi emozionati con “Ladri di Biciclette”, decisero di trasferirsi a Roma con il chiaro intento di fare cinema, nel segno di Roberto Rossellini, che presero come maestro.

“Quando il film uscì – disse Paolo a Berlino, riferendosi a “Ladri di Biciclette” – fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio”.

Modelli che si sono tramutati in consapevolezza interiore: i due fratelli, infatti, avevano sempre detto di non avere soltanto un regista come punto di riferimento, e di prediligere, specialmente, il confronto con la letteratura. Anche le collaborazioni con Valentino Orsini, che fu con loro agli esordi (co-regista in “Un uomo da bruciare” del 1962 e “I fuorilegge del matrimonio” del 1963), e con il produttore Giuliani De Negri sono state più confronti di natura ideologica che scelte estetiche.

Con le loro opere, i fratelli Taviani riuscirono a tracciare un “confine” tra il Neorealismo e un nuovo realismo, frutto di un insieme di ideologia e poesia: la coppia ha firmato film che hanno rivoluzionato il cinema italiano, come “Sovversivi”, film in cui si profetizzava la fine della fiducia cieca nel comunismo reale e “Sotto il segno dello scorpione”, realizzato in concomitanza con la repressione sovietica in Cecoslovacchia, “San Michele aveva un gallo” e “Allosanfan”, film in cui attinsero dal Risorgimento per anticipare il fallimento dell’utopia rivoluzionaria.

Nel 1977 uscì “Padre Padrone”, che vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes, dove tornarono nel 1982 – nel mezzo l’uscita di “Il prato” (1979) – con”La notte di San Lorenzo”, il loro più grande successo, che vinse il Premio speciale della giuria. Nel 1984, invece, uscì “Kaos”, tratto dalle novelle di Luigi Pirandello.

Nel 1987, invece, uscì “Good morning Babilonia”, e tre anni dopo fu la volta di “Il sole anche di notte”, presentato fuori concorso a Cannes. Nel 1993 uscì “Fiorile”, seguito, tre anni dopo, da “Le affinità elettive”, dall’omonimo romanzo di Goethe.

Nel 1998 uscì il loro quinidicesimo film, dal titolo “Tu ridi”, secondo adattamento delle “Novelle per un anno” di Pirandello. Dopo questo, non uscirono film fino al 2007, quando tornarono nelle sale con “La masseria delle allodole”: in quel periodo lavorarono per la televisione, scrivendo e dirigendo le miniserie “Resurrezione” (2001) e “Luisa Sanfelice” (2004).

Nel 2012, invece, uscì nelle sale “Cesare deve morire”, con cui i fratelli Taviani vinsero il Festival di Berlino. Tre anni dopo uscì “Maraviglioso Boccaccio”, mentre l’ultimo film a cui lavorarono insieme fu “Una questione privata” (2017), che vide soltanto Paolo alla regia, mentre Vittorio dovette restare a casa per la malattia che, di lì a qualche mese, l’avrebbe portato alla morte.

Da allora, Paolo diceva di sentirsi “un mezzo regista” per l’assenza di suo fratello, di essere come “un impiegato del cinema perché in fondo. Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova”.

Con la loro carriera, che comprende anche documentari, corti e pubblicità, oltre a moltissimi premi e un Leone d’Oro alla Carriera al Festival di Venezia (1986), i fratelli Taviani sono la dimostrazione che passione, costanza, rigore e fedeltà possono portare a coronare i propri sogni.

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