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Ecco perché la Corte Costituzionale ha bocciato la Fornero sull’articolo 18

Le motivazioni della Sentenza 59 sulla Riforma

La parte della ‘riforma Fornero’ che modifica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è incostituzionale. A stabilirlo, la sentenza n. 59 della Corte Costituzionale che stabilisce che la reintegrazione del lavoratore, licenziato per motivi economici ritenuti “inconsistenti” dal giudice, non possa avere “carattere facoltativo” per non “ledere il principio di eguaglianza” previsto dall’articolo 3 della Costituzione. La ‘riforma Fornero’ modificava infatti il testo sostituendo “applica altresì” con “può altresì applicare”, lasciando quindi al giudice uno spazio di discrezionalità che, nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, non è previsto.

La Corte Costituzionale sottolinea che in un sistema che, per scelta consapevole del legislatore, attribuisce rilievo al presupposto comune dell’insussistenza del fatto e a questo presupposto collega l’applicazione della tutela reintegratoria del lavoratore, si rivela “disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza” il carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici, a fronte dell’inconsistenza della giustificazione addotta e della presenza di un vizio ben più grave rispetto alla pura e semplice insussistenza del fatto. 

In particolare, la Corte ha censurato la norma nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “può altresì applicare”, invece che “applica altresì” la tutela reintegratoria.

In particolare, il principio di eguaglianza risulta violato se la reintegrazione, in caso di licenziamenti economici, è prevista come facoltativa – mentre è obbligatoria nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo – quando il fatto che li ha determinati è manifestamente insussistente. Non si giustifica un diverso trattamento riservato ai licenziamenti economici, nonostante la più incisiva connotazione della inesistenza del fatto, indicata dal legislatore come “manifesta”. Alla violazione del principio di eguaglianza si associa l’irragionevolezza intrinseca del criterio distintivo adottato, che conduce a ulteriori e ingiustificate disparità di trattamento. Per i licenziamenti economici, infatti, il legislatore rende facoltativa la reintegrazione senza offrire all’interprete un chiaro criterio direttivo. La scelta tra due forme di tutela profondamente diverse – quella reintegratoria, pur nella forma attenuata, e quella meramente indennitaria – è rimessa a una valutazione del giudice, disancorata da precisi punti di riferimento.

Resta fermo che al giudice si riconosce una discrezionalità che non deve “sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità” dunque non può né deve lambire le scelte imprenditoriali. “Il vaglio della genuinità della decisione imprenditoriale garantisce che il licenziamento rappresenti pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio”.

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