di Giuliano Longo
Probabilmente, un bilancio esatto delle vittime del conflitto che ha insanguinato il nord dell’Etiopia negli ultimi due anni non sarà mai disponibile, ma i dati forniti da diverse fonti parlano tutti di alcune centinaia di migliaia di morti.
Una guerra dimenticata il cui numero di vittime è stato confermato dal mediatore dell’Unione Africana sul conflitto in Tigray, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, secondo il quale in due anni di guerra potrebbero essere morte fino a 600 mila persone.
Lo scorso 2 novembre a Pretoria i funzionari etiopi hanno firmato un accordo di pace con i rappresentanti della guerriglia tigrina, il Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino (Tplf). I combattimenti hanno avuto inizio il 4 novembre 2020, quando il primo ministro federale Abiy Ahmed ordinò l’intervento delle truppe etiopi contro le milizie del governo regionale del Tigray che poche ore prima avevano assaltato alcune caserme. A fianco di Ahmed si schierarono anche le truppe dell’Eritrea e le milizie di alcuni stati regionali. Per alcuni mesi sembrò che le truppe federali e gli eritrei – nemici storici di Addis Abeba- fossero in grado di sbaragliare le forze ribelli, ma poi un’offensiva dei tigrini inflisse cocenti sconfitte alle truppe federali, al punto che i ribelli sembravano in grado di conquistare addirittura la capitale federale dopo aver conquistato ampie porzioni dell’Amhara e dell’Afar, nel centro-nord del paese.
Mentre Usa e Ue, ex sostenitori di Addis Abeba, imponevano sanzioni all’Etiopia, in soccorso dei tigrini, con l’Etipia si sono schierati Cina, Turchia, Russia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, fornendo armi, supporto diplomatico e ingenti prestiti. Nel luglio 2021 l’Etiopia ha firmato con Mosca un accordo che impegna la Russia a fornire addestramento e tecnologie d’avanguardia per riorganizzare l’esercito di Addis Abeba. In cambio Mosca ha ottenuto un trattamento di favore nell’acquisizione di licenze per estrazioni minerarie ed energetiche. Negli ultimi anni il presidente etiope Ahmed ha rafforzato il legame con Pechino, che ha nel frattempo finanziato e realizzato decine di opere pubbliche e infrastrutture nel paese.Il 10 gennaio le forze tigrine hanno iniziato a consegnare le armi pesanti sotto il monitoraggio dell’Unione Africana. Nel frattempo, la ministra della Salute etiope ha annunciato la riattivazione delle strutture sanitarie distrutte o paralizzate dal conflitto, la distribuzione dei medicinali salvavita e l’avvio delle vaccinazioni contro il morbillo, anche gli aeroporti di Mekelle e Scirè sono stati riaperti ai voli. Nel Tigray stanno arrivando gli aiuti internazionali destinati alla popolazione, in precedenza bloccati quasi completamente dal governo federale esi stima che nella regione 9 persone su 10 abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 400mila circa siano vittime di una pesante carestia aggravata dalla siccità. Quella raggiunta il 2 novembre a Pretoria rischia di essere una pace incerta e provvisoria. L’incognita maggiore è rappresentata dalla presenza in Tigray delle truppe eritree, con la metà dell’esercito del piccolo paese – resosi indipendente da Addis Abeba nel 1993 dopo una sanguinosa guerra durata vent’anni. Alla fine di novembre le truppe eritree avrebbero ucciso «3000 persone in una località a pochi km da Adua, 78 ad Adiabo e 85 nella provincia di Irob», inoltre nella regione, secondo i tirgrini, circa 120 mila donne sarebbero state violentate dai soldati etiopi ed eritrei e dai miliziani Amhara, ma anche i guerriglieri del Tplf sono stati accusati di atrocità nei confronti delle popolazioni delle regioni occupate durante l’offensiva contro Addis Abeba. Anche se finora l’Eritrea ha rappresentato un utile alleato del leader etiope, il suo regime potrebbe tentare di rimanere nel Tigray anche senza il consenso del presidente etiope. Anzi, il premier etiope potrebbe tacitamente tollerare o addirittura sollecitare la permanenza delle truppe eritree in Tigray per garantirsi il controllo del territorio e al tempo stesso permettere all’esercito federale di concentrare le proprie forze contro la ribellione Oromo, che nelle ultime settimane si è intensificata. Infatti mentre a nord si raffreddava il conflitto con i tigrini, Ahmed ha lanciato un’offensiva su vasta scala per distruggere le milizie dell’Esercito di Liberazione Oromo, che si batte per l’autodeterminazione della regione con una popolazione che rappresenta circa il 40% di quella etiope. La situazione si sta «rapidamente deteriorando», ha avvisato l’agenzia di coordinamento degli aiuti dell’ONU. Centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e i servizi essenziali sono sospesi. I rappresentanti Oromo che hanno sostenuto il governo federale contro i tigrini, chiedono ora al governo etiope un accordo di pace simile a quello adottato per il Tigray, invocando la mediazione dell’Unione Africana, e accusano Abiy Ahmed di aver esacerbato le contraddizioni etniche nel paese.