Economia e Lavoro

I venti di pace tra Russia e Ucraina, raffreddano i prezzi di grano e mais

Gli spiragli di pace frenano la speculazione sui prezzi di grano e mais che invertono al tendenza e scendono dopo aver raggiunto quotazioni da record storico. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sugli andamenti al Chicago Board of Trade punto di riferimento mondiale delle materie prime agricole. Un andamento spinto dalle aspettative sul raggiungimento dell’accordo tra Russia ed Ucraina ed il superamento delle difficoltà nel commercio internazionale dei cereali con blocchi alle esportazioni e dei trasporti che hanno riguardato anche la disponibilità di fertilizzanti necessari alla coltivazione spingendo verso l’alto le quotazioni. Il contratto future più attivo sul grano – rileva la Coldiretti – con l’inizio della guerra era arrivato a superare i 13,6 dollari per bushel (27,2 chili) mentre il mais a 7,8 dollari per bushel al top da 10 anni. Si tratta infatti di livelli – spiega la Coldiretti – raggiunti solo negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina. Una situazione determinata dal fatto che – continua la Coldiretti – i due Paesi in guerra insieme controllano circa il 29% delle vendite mondiali di grano tenero per la panificazione, il 19% del commercio del mais destinato all’alimentazione degli animali negli allevamenti e circa l’80% dell’olio di girasole impiegato per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell’industria alimentare, oltre che per le fritture. Una emergenza internazionale che riguarda però direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti. L’aumento di mais e soia – conclude la Coldiretti – sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili.

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