Politica

Italia nell’angolo: dalla transizione ecologica al Pnrr, il timore di un danno d’immagine in Europa

 

di Fabiana D’Eramo

 

Stanno emergendo tra Roma e Bruxelles tensioni che potrebbero sommarsi e incrinare i rapporti. Temi che stanno creando frizione. E se da una parte c’è il timore di un danno d’immagine in Europa, dall’altra c’è l’ansia dell’isolamento, la paura dell’Italia di restare nell’angolo. Non farsi sentire. Ma “non mi convince molto la ricostruzione allarmista”, dice Giorgia Meloni a proposito dei ritardi sui fondi del Pnrr, uno dei motivi d’attrito. Che però non è il solo.

Quando Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni lo scorso settembre, qualcuno a Bruxelles ha sentito un brivido lungo la schiena. Proprio qualche settimana prima del voto, lo slogan di Meloni era stato “la pacchia è finita”, espressione riferita proprio all’Unione europea. Molti giornalisti stranieri hanno etichettato il governo italiano come neofascista o sovranista, ancora prima che avesse preso forma. Eppure già nelle prime settimane molte paure sono rientrate. Infatti sui temi più importanti che riguardano i rapporti tra l’italia e l’Ue, il Presidente del Consiglio ha mantenuto la posizione del governo precedente: conti pubblici, regole monetarie e sostegno alla resistenza ucraina all’invasione russa sono rimasti in linea con l’agenda Draghi.

Eppure, nelle ultime settimane, la difficoltà di trovare un punto d’incontro su temi seppur meno rilevanti riscopre un problema di sintesi tra gli obiettivi europei e quelli dell’esecutivo a guida centrodestra.

Nell’ultima riunione che si è svolta a Bruxelles, la Commissione europea ha annunciato di aver ritardato di un mese l’erogazione di 19,5 miliardi di euro che sarebbero dovuti andare all’Italia per finanziare il suo Pnrr. L’Unione vuole vederci più chiaro su alcuni progetti presentati all’interno del piano nazionale che non hanno passato il vaglio. Tra i progetti che non hanno convinto ci sono, ad esempio, un parco con bosco a Venezia e il restauro dello stadio di Firenze.

Da questo ritardo traspare una difficoltà tra le relazioni tra Europa e Italia, oltre  alle difficoltà strutturali del nostro paese a spendere i soldi che vengono stanziati, sia a livello nazionale che europeo, a causa della complessità delle norme italiane, della struttura decisionale italiana e della capacità amministrativa di enti e comuni.

Ma l’Italia risente anche dell’isolamento sul tema delle auto inquinanti. Il “no” del governo all’accordo che mette uno stop alla vendita di motori a combustione di fonti fossili nel 2035 ha messo l’Italia in una posizione di minoranza. Dopo aver trovato, in un primo momento, appoggio nella Germania, giudicando il regolamento “non tecnologicamente neutro”, ha dovuto assistere alle trattative tra lo stato tedesco e l’Unione, trattative da cui l’Italia è stata esclusa. L’Ue è andata incontro alla Germania introducendo la possibilità di usare combustibili particolari, e-fuel, che potrebbero permettere di continuare a usare i motori tradizionali riducendo le emissioni inquinanti. Tale rettifica non ha placato l’Italia, che invece aveva puntato su una retorica tutta incentrata sull’importanza dell’industria automobilistica e sulla quantità di imprese che lavorano per l’industria automobilistica tradizionale. Restano infatti fuori dall’intesa i biocarburanti, che secondo l’Unione europea non possono essere considerati a emissioni zero, nonostante le sollecitazioni dell’Italia, che ne è grande produttrice.

L’opposizione a questa norma è stata utilizzata come slogan politico da più parti. Da Salvini (“È un regalo alla Cina, l’Europa deve aprire ai biocarburanti”), ma anche da Bonelli, deputato per l’alleanza tra Verdi e Sinistra (“l’Italia ne esce drammaticamente sconfitta”).

Il punto è che le argomentazioni che supportano il “no” sono deboli e contraddittorie. La paura è che convertendo tutto a motore elettrico si potrebbe arrecare danno all’industria italiana, ma gran parte di questa industria lavora per l’industria dell’automobile internazionale, in particolare tedesca, dunque se la Germania accetta queste condizioni perché continuare ad opporsi? E cosa ottenere? Il cambiamento climatico impone una transizione tecnologica rapida per fare fronte all’emergenza ambientale. Oltretutto i biocarburanti vengono già ampiamente usati per aerei e navi: anche senza essere usati per le automobili questo mercato continuerà ad esistere. Inoltre l’industria è consapevole delle transizioni che stanno avvenendo e molte aziende si stanno già preparando a riorganizzare la loro produzione.

Nonostante l’ostinazione italiana, comunque, l’ok della Germania ha lasciato i paesi restii in minoranza –  contrarie anche Romania, Bulgaria e Polonia – e dunque non è possibile bloccare l’accordo.

In tutto questo l’Italia ha anche ricevuto un altro richiamo, più simbolico che effettivo. La commissione europea ha giudicato illegale un prestito di 400 milioni ad Alitalia effettuato dal governo nel 2019. Il prestito è stato giudicato un aiuto di stato illegale, anche se, dal momento che la compagnia aerea non esiste più, e la nuova Ita, pur essendo nata dalle ceneri di Alitalia, per l’Ue non rappresenta “il successore economico” della vecchia compagnia aerea, non avrà reali conseguenze. I soldi difficilmente potranno essere recuperati e tornare nelle disponibilità della collettività.

La bacchettata tuttavia è simbolica, e arriva con un certo tempismo.  Tanti scossoni minacciano l’equilibrio tra Bruxelles e Giorgia Meloni. Ultimo non per importanza è l’atto di condanna della commissione europea alle “istruzioni impartite dal governo italiano al comune di Milano di non registrare più i figli di coppie omogenitoriali”.  L’Eurocamera “ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli; ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989”. L’Europa invita il governo a revocare la sua decisione ed “esprime preoccupazione per il fatto che tale decisione si iscrive in un più ampio attacco contro la comunità Lgbtqi+ in Italia”.

Una condanna politica che mette ancora più all’angolo l’Italia e il governo Meloni e che, sommata agli altri problemi di incomunicabilità con l’Unione europea, nonostante la fase iniziale di rassicurazioni, pone un grosso punto di domanda sulla possibilità di cooperare.

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