Cronaca

L’affaire Mattei. Di verità si può anche morire? Il delitto Pasolini/12

 

di Otello Lupacchini*

Al di là dell’inconcepibile negligenza con cui sono state condotte le indagini iniziali  – ma da lacune, omissioni e più  meno evidenti travisamenti non vanno esenti neppure quelle successive – e dalla pluralità delle versioni di Pino Pelosi, che, in questi quarant’anni, è più volte tornato anch’egli a far sentire la sua voce, attraverso due libri di memorie , in due interviste televisive, il 7 maggio 2005, nel corso della trasmissione Ombre sul giallo , e il 19 ottobre 2014, nel corso della trasmissione Storie maledette , in un dialogo in video, finalmente, il 24 giugno 2009, sul blog di Beppe Grillo , allorché ha dichiarato che lungi dall’aggredire Pasolini, sarebbe stato lui a prenderne piuttosto le difese, senza, tuttavia, mai convincere, né quando ha confessato né quando ha ritrattato, un equivoco di fondo ha contribuito a che della realtà fosse restituita un’immagine deformata: la personalità della vittima è stata il pretesto per trasformare Pier Paolo Pasolini in accusato, in forza dell’odio che, in vita, aveva suscitato in notabili e detentori del potere politico, poliziesco e giudiziario. Ma che la sua morte sia rappresentata alla stregua di un ineluttabile destino che soffonde l’intera vita del poeta di un alone di martirio, allo stesso modo che per altri artisti e scrittori omosessuali assassinati, è assolutamente inaccettabile né può continuare a impedire di avere una visione più obiettiva di questo disgraziato evento.

Pier Paolo Pasolini ha descritto spesso, nelle sue opere poetiche, la sua solitudine, le persecuzioni patite, il suo scoraggiamento, il suo linciaggio virtuale o reale. Il clima paranoico creato attorno a lui dai numerosi processi a cui era stato assoggettato per i suoi film e i suoi romanzi, dalle polemiche degenerate molto spesso in insulti, da una vita, la sua, costantemente messa alla gogna, dopo l’espulsione dal Pci e l’allontanamento dalla sua scuola, in Friuli, nel 1949, a seguito di un processo per corruzione di minorenni, da cui peraltro era uscito assolto. Tutto vero, certo, ma ciò non ne affievolì, sino alla fine, la forza di provocazione. Non si può dire, dunque, che per questo si sia consegnato ai suoi assassini, là dove, al contrario, era la sua stessa lucidità a proteggerlo: il suo far sesso, a pagamento o meno, con giovanissimi sconosciuti, spesso riuniti in bande, comportava certamente dei rischi, dei quali egli era, tuttavia, pienamente consapevole: già nel 1959, aveva descritto il pestaggio d’un omosessuale milanese in una sceneggiatura recentemente scoperta e pubblicata ; neppure faceva mistero dei sentimenti ambigui verso la sua omosessualità volutamente umiliata, che viveva apertamente, anche se ciò non lo rendeva felice; d’altra parte, sebbene la sua rottura con Ninetto Davoli risalisse a tre anni prima e l’attore fosse ormai sposato e padre, egli non aveva cessato di vederlo: i due si erano recati insieme a Stoccolma e, la sera del 1° novembre, prima d’incontrare o ritrovare, a seconda delle versioni, Pino Pelosi davanti alla Stazione Termini , Pier Paolo Pasolini aveva appena cenato con Ninetto Davoli e la moglie.

Alla luce di quanto, sia pure in via di rapidissima sintesi, sin qui evidenziato, è difficile negare le buone ragioni, perché, lungo il corso degli ultimi quarant’anni, molti intellettuali, giornalisti, scrittori, romanzieri continuino a rivelare quanto a loro conoscenza o a condividere i frutti delle loro intuizioni sull’affaire Pasolini. Mi sembra anzi estremamente positivo che vi sia ancora chi non si arrende nell’opus estenuante di ricerca dei mandanti e degli esecutori dell’assassinio che ha messo a tacere la voce più alta e più coraggiosa dell’Italia del secondo dopoguerra.

Viviamo, ahinoi, in tempi calamitosi. La verità sembra essere stata espulsa dal mondo, per far prosperare al suo posto l’era della menzogna, che contamina ormai l’attuale società umana. La peggiore delle contaminazioni morali. In questa era, nella quale il successo che arride ai bugiardi compulsivi, i quali sanno di mentire e noi sappiamo che stanno mentendo, ma che continuano a mentire anche se hanno davanti la più nuda verità e continueranno a farlo anche dopo che la verità gli sarà esplosa in faccia, nessuno può sentirsi più al sicuro dai severi custodi della menzogna, neppure il ricercatore più attento e scrupoloso, che elabori i risultati delle sue investigazioni secondo la logica più raffinata. Tanto più che mentre la menzogna circola dappertutto impunemente, convertita ormai in una specie di altra verità, è sempre in agguato il critico acuminato, uno di quelli che hanno sempre da ridire sull’opera altrui, così da ingenerare il sospetto di crudeltà congenita sviluppatasi in mestiere, come quando si scopre che il celebre tal chirurgo, da bambino, seviziava topi e blatte. Magnifico campione di quella genìa di « ragazzi brutti, pallidi, nevrotici », prodotto della rivoluzione antropologica tanto deprecata da Pier Paolo Pasolini, i quali, « rotto l’isolamento cui li condannava la gelosia dei padri », hanno fatto irruzione « stupidi, presuntuosi e ghignanti », nel mondo, « di cui si sono impadroniti», costringendo gli adulti « al silenzio o all’adulazione » , uso vestire, all’occorrenza, i panni di scrittore, di giornalista, di critico letterario e d’altri ancora, con la stessa eleganza del nano che indossa il mantello rubato al gigante, un bel tomo, di cui caritatevolmente taccio il nome, non disdegna elargire perle di saggezza del tipo: in Italia, quando un « cosiddetto intellettuale » non sa cosa scrivere, scrive un libro su Pasolini, meglio ancora sulla morte di Pasolini.

 

*Giusfilosofo

 

12 SEGUE

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