di Gino Piacentini
L’Italia si prepara ad adottare misure più rigorose contro la contaminazione da Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) nelle acque potabili, con l’introduzione di un decreto legislativo che prevede limiti più stringenti per queste molecole, note per la loro persistenza nell’ambiente e i rischi per la salute umana. Il nuovo decreto, attualmente al Senato, stabilisce un limite di 20 nanogrammi per litro per 4 delle molecole più pericolose, tra cui Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs.
Tuttavia, associazioni ambientaliste come Greenpeace ritengono che questi limiti siano ancora troppo alti, in quanto superiori a quelli raccomandati da agenzie europee come l’Efsa (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare), che suggerisce soglie più basse per proteggere adeguatamente la salute pubblica. La nuova normativa italiana si avvicina ai 20 nanogrammi per litro introdotti in Germania, ma rimane distante dai limiti più restrittivi adottati in Paesi come Danimarca (2 nanogrammi) e Svezia (4 nanogrammi).
I Pfas sono associati a vari problemi di salute, tra cui disturbi ormonali, immunitari e un aumentato rischio di alcune forme di cancro. La loro capacità di persistere nell’ambiente rende difficile rimuoverli, creando rischi a lungo termine per le risorse idriche. In Italia, diversi procedimenti legali sono in corso contro aziende accusate di contaminare acque e suoli, come nel caso di Solvay e Miteni, due dei principali siti coinvolti.
Il decreto impone anche una maggiore trasparenza, obbligando i gestori idrici a comunicare la presenza di Pfas ai cittadini tramite bollette e strumenti digitali. Nonostante i passi avanti, le associazioni ambientaliste chiedono ulteriori sforzi per ridurre ulteriormente i limiti e arrivare, idealmente, a una legislazione che vieti completamente la produzione e l’uso di queste sostanze chimiche dannose. L’obiettivo finale è proteggere la salute pubblica e garantire un ambiente più salubre per le future generazioni.