Esteri

L’Opinione – Israele, il parlamento propone leggi che potrebbero portare a una guerra di religione

Estratto e traduzione di Giuliano Longo da The Jerusalem Post per ORE12

 

Mentre Netanyahu ha dichiarato lunedì che non avrebbe permesso a Israele di diventare uno stato halachico (Halakhah si riferisce alla legge ebraica, secondo la sua traduzione letterale, “la via” che guida la vita quotidiana di un ebreo) ma ci si deve chiedere come la maggioranza parlamentare abbia anche solo pensato di poter chiedere tutta una serie di queste riforme religiose che illustreremo nel corso dell’articolo.

Il voto alla Knesset di martedì 13 dicembre sera è stato storico per due motivi.

La prima la più ovvia: la Knesset stava approvando una serie di leggi personali per diversi ministri in modo che potessero entrare a far parte del governo.

La seconda ragione  è che le modifiche legislative in discussione stavano avvenendo prima dell’insediamento di un nuovo governo. Questo era strano. Quando Benjamin Netanyahu ha portato il Likud e il suo blocco religioso di destra alla vittoria elettorale il 1° novembre, all’inizio sembrava che i colloqui della coalizione sarebbero stati una passeggiata.

Invece, i colloqui della coalizione sono stati un lungo mal di testa per Netanyahu che deve solo incolpare se stesso.  I suoi futuri partner sapevano che se prima avessero giurato nel governo e poi avessero cercato di approvare le leggi che avevano chiesto, Netanyahu avrebbe probabilmente trovato un modo per temporeggiare come suo costume.

A causa di questa mancanza di fiducia, i partner – Religious Sionist Party, Otzma Yehudit, Shas e United Torah Judaism – hanno tutti insistito affinché le leggi venissero cambiate prima, in modo che, una volta legiferate, le parti avrebbero accettato di entrare nel governo.

Per di pù la domenica precedente è arrivata la notizia che il Likud e l’UTJ stavano discutendo una serie di riforme religiose che, se attuate, avrebbero alterato il carattere di Israele e lo avrebbero trasformato in una sorta di Versione ebraica di una Repubblica islamica.

Le richieste includevano l’interruzione dell’uso delle centrali elettriche che producono elettricità durante lo Shabbat, l’aumento del numero di spiagge separate, il finanziamento della genizah (corretta conservazione) dei libri sacri in Sinagoga e la creazione di istituti dedicati a rispondere alle domande halachiche. Il partito Haredi degli ultra ortodossi o ultra praticanti,  ha anche chiesto di aumentare lo studio della Bibbia nelle scuole secolari e di iniziare a insegnare il Talmud anche lì.

Cosa a questi partiti la sensazione che fosse legittimo  interferire grossolanamente nell’educazione dei bambini non ortodossi? Perché hanno pensato di poter decidere – a causa di una minoranza di haredim ortodossi – che l’intera rete elettrica nazionale doveva essere cambiata o che lo stato avrebbe dovuto spendere centinaia di milioni di shekel per accogliere questo stile di vita estremo?

Purtroppo, non esiste un vero modo per descrivere questa situazione se non definendola una guerra di religione in fermento all’interno del paese.

Ci sono forze che sembrano credere che poiché ora hanno il potere politico, possono fare quello che vogliono. Affermano che questa è la definizione di democrazia quando ciò che è realmente è un fraintendimento del sistema della democrazia. Ledere i diritti dei cittadini non è democratico, indebolire i tribunali non è democratico così come calpestare i diritti religiosi .

Ciò che questi politici ultraortodossi non riescono a capire è che stanno non solo danneggiando Israele, ma danneggiano e indeboliscono anche la religione ebraica, politicizzando l’ebraismo e allontanando le persone dalle nostre antiche tradizioni.

Netanyahu è ancora molto orgoglioso delle riforme economiche che ha istituito 20 anni fa, quando era ministro delle finanze. Ha rotto i monopoli governativi, ha privatizzato le società di proprietà del governo e ha tagliato il welfare e i sussidi governativi. L’apertura del mercato era il marchio di Netanyahu. Gli Haredim vogliono che torni indietro.

Mercoledì, The Jerusalem Post ha pubblicato un annuncio in prima pagina con una foto della nazionale marocchina e le parole “Siamo tutti marocchini” prima della partita di quella sera tra Marocco e Francia.

Era un annuncio inserito da un tifoso della squadra ed è stato  del tutto ben accolto. Ci sono stati, tuttavia, un certo numero di persone che erano infuriate con il giornale e per estensione con la squadra marocchina, che ha osato sventolare le bandiere palestinesi dopo le partite.

Sebbene non sia chiaro quale sia lo scopo dietro lo sventolamento e se, come indicano alcuni rapporti, dietro ci sia il Qatar che sostiene Hamas, gli israeliani devono capire che il Qatar è un paese arabo, il Marocco è una squadra araba e lo sventolio importa ai palestinesi. Mentre a Israele potrebbe piacere fingere che il conflitto con i palestinesi non esista, anche se il resto del mondo non sta accettando la farsa.

C’è un popolo palestinese che vive in città e paesi a soli 15 minuti da Gerusalemme e Tel Aviv e si trova quasi ogni giorno sotto il controllo militare israeliano, sia quando si imbarca su un’autostrada della Cisgiordania per raggiungere un’altra città o quando l’esercito israeliano entra nella loro città di notte per dare la caccia a sospetti terroristi.

Tutte queste misure sono necessarie per la sicurezza di Israele, ma non dovremmo fingere che non compromettano la qualità della vita in Cisgiordania e non abbiano un impatto sui palestinesi che ci vivono.

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