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Meglio il terzo polo o il rilancio della Democrazia Cristiana. Una follia?

La polarizzazione della politica italiana, stretta nella morsa tra il destra-centro egemonizzato dalla Meloni e da Fratelli d’Italia e la sinistra oggi personificata dalla neo segretaria del PD Elly Schlein, con un M5S costretto sempre più a riprendere il dialogo con  gli amici-nemici di via S. Andrea delle Fratte, onde poter di uscire dall’improduttivo isolamento parlamentare in cui si sono unilateralmente  trincerati, sta sempre più originando una forte distanza tra i cittadini e la politica, condizione questa che nelle ultime elezioni regionali, di febbraio scorso, ha preso la forma di un forte astensionismo elettorale che ha raggiunto circa il 65% di defezioni delle urne nella Capitale d’Italia.  Tale situazione socio-politica ripropone il tema di un’area moderata italiana, forte e rappresentativa, che sia in grado di condizionare gli estremismi delle scelte politiche che non rispondono a logiche di programmazione e gestione della cosa pubblica, che sappiano dare risposte concrete ai bisogni reali dei cittadini;  decisioni politiche che purtroppo – viceversa –  sembrano maturare dalle pulsioni del momento politico, nonché dalle fallaci visibilità da esse derivanti ad alcuni protagonisti parlamentari, questi ultimi sempre più incapaci di comprendere gli effetti di “medio termine” delle loro scelte – nel più dei casi “selfistiche” – e delle derivanti ricadute concrete sui cittadini; è quanto ha dichiarato Fabio Desideri già sindaco del Comune di Marino in provincia di Roma ed ex consigliere regionale del Lazio. Il dilemma che sta sempre più prendendo corpo nella politica e soprattutto nella società italiana è se ci sia bisogno di un terzo polo, oppure si debba tornare a rilanciare quella Democrazia Cristiana mai sciolta, come la sentenza del 2022 ha definitivamente pronunciato, che per tanti decenni ha saputo essere lungimirante rispetto alle scelte di medio lungo tempo, utili per portare l’Italia ad essere una nazione stabilmente democratica, competitiva e moderna, ma che nello stesso tempo seppe essere un partito capace di discutere ed affrontare, sia al suo interno, sia nel dibattito socio politico italiano, i temi e le priorità sociali del momento, senza venir meno alle regole di governo democratico del nostro Paese. Molti dal 1948 ad oggi si sono adoperati a vario titolo, utilizzando ogni strumento possibile, per alcuni aspetti anche riuscendoci, per disarticolare dal vissuto e dalla quotidianità degli italiani il partito che più di ogni altro ha saputo interpretarli, accompagnarli e sostenerli nelle scelte che ci hanno portati ad essere oggi cittadini di una Europa unita, di cui la Democrazia Cristiana, prima di ogni altra forza politica italiana,  seppe essere partito promotore. Va fatto un plauso a coloro che lo scorso 18 febbraio, in un albergo romano, districandosi tra sentenze, denunce, esposti e documenti abilmente celati in questi 40 anni, hanno saputo raccogliere idealmente il testimone caduto ( …o da alcuni scientemente abbandonato) di un partito mai sciolto, e soprattutto mai dimenticato dagli italiani, rimettendone insieme i pezzi, dal punto di vista normativo e burocratico, sancendo la continuità con il 18esimo congresso tenutosi nel lontano 1989 e celebrando – tra mille difficoltà – in modo pubblico e partecipato il 19esimo congresso nazionale della Democrazia Cristiana, dagli stessi definito “congresso tecnico”, che ha eletto nuovamente sia il segretario nazionale sia gli organismi statutari del partito. Un passaggio quello fatto a Roma lo scorso febbraio dagli eredi di Sturzo, De Gasperi, Moro, Zaccagnini, Andreotti etc. che indubbiamente rimette al centro della politica italiana un partito verso il quale molti italiane ed italiani hanno una innata simpatia e vicinanza. Forse proprio questo “vissuto italico” sta originando molti grattacapi e preoccupazioni in alcuni settori della politica che caratterizzano il panorama attuale. Così come meritano attenzione due atti formali posti in essere, in questi giorni, dalla nuova dirigenza della Democrazia Cristiana; il primo, quello di scrivere al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, affinché tutelino –  nelle istituzioni italiane – in favore del partito, la denominazione Democrazia Cristiana e il simbolo dello scudo crociato con la scritta “Libertas” al suo interno; il secondo, di diffidare chiunque – in violazione delle varie sentenze richiamate – continui illegittimamente ad utilizzare denominazione e simboli della Democrazia Cristiana. Finalmente tutti gli italiani possono – grazie a questi stoici democristiani –  liberamente tornare a valutare se scegliere autodefinitisi “terzi poli”,  oppure se tornare ad impegnarsi ed a sostenere un partito che ha fatto la storia Italiana, il quale ancora oggi – meglio di tutti gli altri soggetti partitici o movimenti – può essere il principale interprete dei valori e della moderna società italiana. Proprio questa possibilità di decidere liberamente è il risultato, concreto, delle scelte di medio-lungo termine fatte, in ben più complessi momenti storici del nostro paese, dalla Democrazia Cristiana; ha concluso Desideri

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