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Otello Lupacchini e il rapporto tra ‘Paura e Potere’. Il nuovo libro del Giusfilosofo

Sant’Agostino: “Se non è rispettata la giustizia, cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri”? Gustav Le Bon: “Non appena si possiede la forza si cessa di invocare la Giustizia”

 

La paura è un’emozione duttile, modellata e rimodellata dall’istruzione morale e dall’ideologia. Ne deriva che è ampio il potere del sovrano di definirne gli oggetti. Nessun sovrano, d’altra parte, è automaticamente in possesso di questo potere; anzi, deve spesso affrontare la concorrenza di soggetti «privati», che tentano di persuadere la gente a temere oggetti che egli non ha autorizzato a temere. Se, tuttavia, il sovrano assume pienamente i suoi legittimi poteri, egli sarà nella posizione di definire gli oggetti di paura della gente. Alle soglie della modernità, il Potere volge in divenire quella che appare come crisi storica della civiltà medioevale. E si fa Stato. Il Potere che s’incarna nello Stato riafferra in sé il divenire della crisi e si illuderà di venirne a capo; e per illudersi meglio, lo Stato si fa assoluto. Tuttavia, il Potere che si fa Stato è esso medesimo estrema reificazione, radicale oggettivizzazione del soggetto al Potere. Lo Stato che realizza in cifra assoluta il Potere è esattamente quello Stato che spoliticizza in cifra assoluta il soggetto e la società. Cortocircuitato rimane quello spazio che funge quale polo d’interpretazione e mediazione tra Stato e Potere, tra Stato e società: il «politico» moderno, dunque, si afferma come cumulo di negazioni radicali. E il terreno su cui si misura il massimo scarto con la Modernità in politica, nasce proprio con la rottura del rapporto del Potere con la Morale. Il «politico» moderno, gettato, fin dall’inizio, in questa trama complessa, rappresenta e risucchia nelle sue codificazioni l’esistente sociale, cristallizzato nelle forme dello Stato assoluto, di cui sono fra i maieuti Jean Bodin e Thomas Hobbes, segnati entrambi dalla guerra civile, ma profondamente diversi fra loro.

  • il potere implica il monopolio della forza, ma qual è la fonte della legittimazione a questo uso monopolistico.

Il problema della «legittimità» lo pose Sant’Agostino nel De Civitate Dei: nel dialogo tra Alessandro e il pirata, costui fa notare che non vi sia differenza tra il potere di un re, che governa su una nazione, e il potere di un pirata, che governa sul suo piccolo bastimento; si tratta soltanto di una semplice differenza di grado, ed allora, conclude: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?».

La vicenda moderna della «legittimità» ha inizio con la Riforma e le guerre civili di religione. L’unità della Respublica christianasi è infranta e il richiamo alla legge divina o alle scritture per consacrare i governanti legittimi diventa problematico, dal momento che ad appellarsi alla legge naturale come legge divina sono anche i più irriducibili avversari delle dinastie «legittime», ad esempio i monarcomachi, ora di parte calvinista ora di parte cattolica. La territorializzazione dell’obbligazione politica viene d’altro canto rivoluzionando gli assetti sociali feudali e di ceto attraverso la rivendicazione monarchica di un monopolio del potere coercitivo in aperta opposizione alle leges regni fundamentalesconsolidate dalla consuetudine «costituzionale» e a cui ancora un teorico dell’assolutismo come Jean Bodin farà riferimento.

  • Se abbia ancora senso, ed eventualmente quale, ancorare il concetto di Stato alla Giustizia

Spogliato il concetto di legge di ogni riferimento contenutistico alla ragione e alla giustizia e mantenendo, allo stesso tempo, lo Stato legislativo con il suo concetto specifico di legalità, che concentra nella legge tutta l’altezza e la dignità dello Stato, ogni disposizione, di qualsiasi tipo, ogni comando, ogni provvedimento possono diventare legali.

È finalmente Michel Foucault a sottolineare come «il motto del liberalismo sia “vivere pericolosamente”», nel senso che «gli individui sono messi costantemente in stato di pericolo», nella condizione, cioè, «di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, i loro avvenire» alla stregua di «fattori di pericolo».

  • Qual è il senso della proposizione foucaultiana: «il motto del liberalismo è “vivere pericolosamente”».

Nel secolo XIX compare, peraltro, «tutta un’educazione, tutta una cultura del pericolo, che è molto diversa dai grandi sogni o dalle grandi minacce dell’Apocalisse come la peste, la morte, la guerra (…), che alimentavano l’immaginazione politica e cosmologica nel Medio Evo. E ancora nel XVII secolo», alla sparizione dei cavalieri dell’Apocalisse si accompagna, viceversa, l’emersione dei pericoli quotidiani continuamente alimentati, riattualizzati, messi in circolazione da quella che il filosofo francese chiama «cultura politica del pericolo del XIX secolo». Alla sensazionale drammatizzazione della vita quotidiana in termini di pericolo e di paura del pericolo, complici l’affermarsi della letteratura poliziesca, il crescente interesse giornalistico per il crimine, le campagne sull’igiene pubblica e tutto quello che concerne la sessualità e la paura della degenerazione, infatti, s’accompagnano: la formidabile estensione delle procedure di controllo, di costrizione, di coercizione, costituenti una sorta di contropartita e di contrappeso delle libertà e la comparsa di meccanismi tesi alla produzione ed all’accrescimento delle libertà, implicanti, tuttavia, un di più di controllo e d’intervento coercitivo sulla sfera della pratica economica, che si sono caratterizzati, fin dall’inizio, come minacce di nuovo dispotismo.

Il programma del liberalismo, dunque, non riguarda tanto il contenuto delle leggi, quanto la struttura del meccanismo costituzionale che deve servire a crearle: in questo senso, si può dire che al liberalismo stia più a cuore la forma che la sostanza. In questa ottica, il liberalismo non può formulare premesse programmatiche, implicanti preferenze per l’una o l’altra soluzione di problemi concreti, riservandosi, piuttosto, di prendere posizione di volta in volta, al momento in cui i problemi si presentano, ma si limita a d affermare la necessità che sia rispettato, nella deliberazione di concreti provvedimenti, un certo metodo, un certo ordine, una certa procedura costituzionale, ritenute indispensabili affinché i problemi politici possano essere discussi e risolti con libertà.

A.V.

1-Segue

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