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Pensioni, Brunetta (Cnel): “Senza un riordino, il sistema rischia di crollare”

 

La concessione, per decenni, di pensioni non affiancate da un gettito contributivo “sta alla radice non solo del disavanzo pensionistico ma anche di gran parte del debito pubblico.

In mancanza di un riordino, il rischio di un collasso dell’intero sistema è verosimile, con una spesa stimata fino al 23 per cento del Pil attorno al 2030”.

Così il Presidente del Cnel, Renato Brunetta, nel corso di un’audizione di fronte alla Commissione bicamerale di controllo sugli enti gestori della previdenza sociale.

“Dal dopoguerra ad oggi – ha continuato l’ex Ministro – vi sono state solo due leggi di riforma del sistema pensionistico caratterizzate da una visione e da un progetto.

La prima è la riforma Brodolini del 1969, un grande momento di riformismo che introduceva il sistema retributivo, prendendo a riferimento la retribuzione pensionabile degli ultimi tre (poi cinque) anni di lavoro. L’obiettivo era una pensione dignitosa per quanti avevano avuto una storia lavorativa e contributiva tormentata nell’immediato dopoguerra.

Con la riforma Dini del 1995 si passa al sistema contributivo, ma lo si è fatto a partire dai nuovi assunti, mentre per chi aveva a quella data almeno 18 anni di anzianità è rimasto interamente all’interno del sistema retributivo fino a quando, con la legge Fornero, il calcolo contributivo è stato esteso a tutti”.

Secondo l’ex Ministro, “il difetto della riforma Dini del 1995 è stato quello di aver scaricato l’equilibrio del sistema sui futuri pensionati, salvaguardando soprattutto i lavoratori più anziani”.

“Per i giovani ci sarebbe stata la previdenza complementare. Così, le successive riforme hanno cercato di rendere più breve ed equa la transizione, anche per ottenere dal sistema pensionistico un contributo al risanamento di quei conti pubblici che ha contribuito a destabilizzare.

Il problema di questa riforma e delle aggiunte successive è che sono tutte figlie di un progetto con la testa rivolta all’indietro, nel senso che non si pone l’obiettivo di come garantire ai lavoratori giovani di oggi, chiamati per decenni a versare un terzo del loro reddito per finanziare le pensioni in essere un trattamento adeguato.

Il problema per i lavoratori giovani non è il metodo di calcolo contributivo ma la qualità del loro lavoro, in un mercato contraddistinto da discontinuità, precarietà e crisi”, ha concluso Brunetta.

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