di Sara Valerio
La mostra «Arnaldo Pomodoro. Il grande teatro delle civiltà», al Palazzo della Civiltà italiana all’EUR, aperta fino al primo ottobre, omaggia uno dei più grandi scultori contemporanei, oggi 96enne, esponendo tra spazi interni ed esterni, 30 opere dell’artista realizzate dagli anni ’50 al 2021. Curata da Lorenzo Respi e Andrea Viliani e promossa da Fendi (che nel Palazzo ha sede) in collaborazione con la Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, la mostra vuole esplorare l’interconnessione, nella pratica di Pomodoro, fra arti visive e arti sceniche, evidenziando il rapporto tra la dimensione progettuale dell’opera e la sua realizzazione.
Non si tratta solo di un’antologica, ma prezioso è il supporto di documenti, fotografie, bozzetti e disegni, molti dei quali inediti (per opere incompiute), che sostanziano l’allestimento delle opere. Per la prima volta, infatti, preziosi materiali d’archivio escono dallo studio milanese di Pomodoro per essere esposti, liberamente consultabili dai visitatori nelle cassettiere scorrevoli allestite lungo il percorso espositivo.
LE OPERE IN MOSTRA
Ai quattro angoli esterni dell’edificio, in cima alla scalinata che conduce all’ingresso, sono state posizionate le quattro sculture Forme del mito (1983) – Il potere (Agamennone), L’ambizione (Clitennestra), La macchina (Egisto) e La profezia (Cassandra) – tratte dalle macchine sceniche che furono realizzate per il ciclo teatrale di Emilio Isgrò, ispirato all’Orestea di Eschilo, svoltosi nel 1983 sui ruderi della piazza di Gibellina distrutta dal terremoto del Belìce.
Nell’atrio, altre due opere-costume rimandano al legame di Pomodoro con le arti performative: il Costume di Didone (per La tragedia di Didone, regina di Cartagine di Christopher Marlowe, messa in scena a Gibellina nel 1986), e il Costume di Creonte (per Oedipus Rex di Igor’ Stravinskij, rappresentato a Siena nel 1988), affrontati l’un l’altro.
Si prosegue verso il monumentale pannello in fiberglass Le battaglie (1995, con rimandi alle geometrie guerresche di Paolo Uccello), idealmente contrapposto al candore di Movimento in piena aria e nel profondo (1996-97), che è stato allestito simmetricamente nell’ala opposta del Palazzo, quasi a rappresentare un’opera teatrale in due atti.
In mostra anche la Grande tavola della memoria (1959-1965), una riflessione sul bassorilievo e sulla tecnica antica della fusione sull’osso di seppia (che deriva a Pomodoro dalla sua consuetudine con l’oreficeria), e Il cubo (1961-1962), esito della ricerca sulle forme elementari della geometria euclidea.
E poi ancora Continuum (2010), l’ultima opera sul percorso del pian terreno, che invita a ricominciare, suggerendo l’idea della circolarità (della mostra e del tempo).
Sul loggiato del terzo piano si incontra invece Osso di seppia (2011-2021), matrice simbolica di tutte le opere dell’artista.
La mostra è stata ideata con l’obiettivo di sostenere e diffondere i linguaggi artistici contemporanei, con un occhio sempre rivolto al concetto di sostenibilità e innovazione.
Come si legge nella presentazione dell’evento: “Concretezza e utopia, segno e archetipo, materia e visione, tridimensionalità dell’opera e bidimensionalità del documento, condivisione nello spazio pubblico e ricerca personale condotta nello studio e nell’archivio si integrano delineando un continuum, da cui emergono molteplici riferimenti alle tante “civiltà” a cui tutte le opere di Pomodoro costantemente rinviano: tracce evanescenti di civiltà arcaiche, antiche e moderne, o anche solo fantastiche, da cui originano forme, segni e materie indefinibili. Un grande teatro in cui sono ripercorsi gli oltre settant’anni di ricerca di Arnaldo Pomodoro”.