di Wladymiro Wysocki. (*)
Domenica 8 e lunedì 9 giugno si vota per i cinque referendum abrogativi e il quarto quesito, promosso dalla Cgil, riguarda la sicurezza sul lavoro in riferimento al sistema degli appalti con maggiore responsabilità del committente.
Non mi voglio soffermare sulla convinzione o meno nell’andare a votare così come se votare si o no, questo “lavoro” lo lascio ai politici di turno.
Mi soffermo sulla tematica prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, che benchè sia tirata in ballo in una ridicola lotta tra partiti di chi vota o meno è pur sempre una occasione in più per accendere i riflettori su un tema di estrema importanza.
Quello che stanno dando in questi giorni nei salotti e interviste televisive, con argomentazione improbabili evidenti di chi non mastica minimamente la materia ma ne parla per sentito dire o su uno scritto preparato da qualche collaboratore, resta una delle solite messe in scena dove poi tutto si spegne.
Ascoltando in giro sembra ormai un disco rotto, sempre le stesse frasi ripetute e rimpastate a seconda delle necessità
Mancano gli ispettori a no ne abbiamo assunti altri, numeri sparati sempre a caso e sul territorio nessuna differenza.
Servono maggiori fondi da investire, la corsa alla ricerca del colpevole e poi nessun colpevole, carenza di controlli e necessità di capire la filiera dei lavori e appalti.
A tutto questo dimentichiamo la patente a crediti, un tira e molla alla ricerca di una svolta epocale ma che di fatto nulla ha prodotto.
Maggiori sanzioni, maggiori regole, maggiori leggi, maggiore di tutto ma alla fine abbiamo troppo di ogni cosa e che di fatto poco o nulla si applica.
Basterebbe effettuare la formazione, per dirne una, e molti risultati positivi si andrebbero a registrare in termini di riduzione di incidenti, infortuni e morti.
Basterebbe applicare la “semplice” redazione e valutazione dei rischi e pericoli aziendali delle lavorazioni che ogni lavoratore mette in essere ogni giorno.
Addestrare correttamente i lavoratori nell’utilizzare macchinari e attrezzature di lavoro senza correre il rischio di amputazioni, mutilazioni, malattie professionali o vittime schiacciate dal macchinario.
Basterebbe spesso e volentieri applicare quel sano buon senso che abbiamo perso divorati dalla frenesia del lavoro, dall’abbattimento dei costi, alla conquista del lavoro.
Insomma, abbiamo perso la ragione e il focus sul vero obiettivo della forza lavoro ovvero la persona.
Oggi registriamo dei numeri spaventosi di infortuni ormai su tutte le fasce di età anche se quelle maggiormente attenzionate sono la fascia over 60 – 65 e gli under 20 – 25.
Chi muore perché ormai ha una età troppo avanzata per stare su un ponteggio, su una gru, su un camion, o comunque a fare lavori troppo logoranti e chi invece è troppo giovane e inesperto ma lo si manda al fronte del lavoro.
Già, forse il fronte di guerra è quasi meno rischioso del fronte del lavoro visto che stiamo a una media di un morto ogni 6 – 8 ore e un ferito ogni sessanta secondi.
Ma se da un lato sono uomini in guerra qui paliamo di uomini che vanno a lavorare per mantenere una famiglia e realizzare dei sogni.
Sogni infranti come soldati in guerra.
Una guerra dove oggi si cerca di ricorrere a nuovi armi per vincerla, l’intelligenza artificiale la sta facendo da padrona una entità tanto nominata e ancora poco chiara.
Mettiamo in campo droni di ultima generazione che possono monitorare dall’alto o perché no anche trasportare materiali, anzi usiamo microchip intelligenti, ah no abbiamo anche i sensori e i dispositivi di protezione individuale di ultima generazione a chi li lasciamo.
E potrei continuare, ma poi di fatto tante “armi” di ultima generazione per combattere una guerra delle quali non si hanno le giuste informazioni per come utilizzarle e allora ricominciamo dall’inizio.
Abbiamo tanto ma è in via sperimentale, stiamo aspettando il Garante della Privacy per il trattamento dei dati, la Chiesa che si preoccupa della questione etica, i sindacati sulla centralità e tutela del posto di lavoro.
E tutto si blocca nuovamente e stiamo fermi alla linea di partenza.
Intanto corrono le belle parole di ferite aperte nella nostra Repubblica, ferite alla dignità umana, la qualità del lavoro che resta un aspetto nebuloso, il benessere lavorativo che vuole dire tutto e niente.
Insomma, direi che sarebbe il caso di fermarci un secondo da questa gara alla soluzione rivoluzionaria quando tutti gli strumenti sono già sotto ai nostri occhi.
Si muore perché mancano i semplici dispositivi di protezione individuale, perché i macchinari e attrezzature non sono a norma, perché le persone non sono formate.
Oggi gli incidenti sono gli stessi degli anni cinquanta e sessanta, per dire.
Le malattie professionali sempre le stesse si registrano.
Tutto questo cosa sta a significare, che la normativa incrementa e andrà anche al passo alle necessità dei nuovi macchinari, attrezzature, processi lavorativi ma poi non si applica nemmeno la tabellina dell’uno, la formazione esempio.
Quante persone oggi lavorano senza una formazione e senza una idoneità medica, o forse sulla carta è anche pure tutto in regola ma nelle realtà il dramma è dietro l’angolo che puntualmente presenta il conto.
Intanto si accendono i riflettori sulla grave crisi della sicurezza sul lavoro, oggi è il referendum domani sarà un incidente, poi una manifestazione di indignazione e chissà quale sarà la prossima occasione.
Nel mentre si continua a morire.
Qualcuno diceva va bene tutto purchè se ne parli, ecco, facciamo anche un passo oltre.
Parliamone ma sensibilizziamo le menti e le persone a fare poi qualcosa di veramente concreto per il cambiamento.
Mentre parliamo, manifestiamo, votiamo, a causa del lavoro si muore e questo è un fatto inaccettabile che ha superato ogni limite di tolleranza.
(*) Esperto di sicurezza sul lavoro