di Giuliano Longo
Da due anni a questa parte la Russia ha subito gravi perdite a livello di equipaggiamenti militari.Il CSIS, Centro per gli Studi Strategici e Internazionali,ha stimato un numero che va dagli 8.000 ai 16.000 veicoli corazzati distrutti dai combattimenti, aerei, droni e sistemi di artiglieria.
Ma Mosca ha già colmato questa perdita facendo ricorso a scorte esistenti e reindirizzando le armi destinate all’esportazione sul campo di battaglia ucraino, mentre contestualmente è triplicata si la produzione di vecchie e nuove armi in una economia che va sempre più assumendo le caratteristiche di una “economia di guerra”.
L’Occidente pensava di bloccare l’industria militare russa con una stretta tecnologica sui microchip, i semiconduttori e le batterie agli ioni di litio. Il primo semestre di embargo era sembrato promettente, poi Mosca ha attivato in tutta Europal’intelligence militare (Gru) e quella per l’estero (Svr)creando società fantoccio per importazioni clandestine, buoni intermediari che gestiscono grandi capitali.
Gli scambi indiretti russo-occidentali sono così balzati , dal 54% del 2021 al 98% dell’ultimo scorcio del 2022 e forse oltre l’anno scorso.Il direttore dei servizi segreti olandesi, Jan Swillens,rivelato che nei Paesi Bassic’erano decine di aziende parte di questa rete. così come inSvizzera.
Il Wilson Center e l’European Policy Center concordano sul fatto che le sanzioni euro-americane, pur godendo dell’extraterritorialità, sono scarsamente efficaci perché gran parte del mondo continua a commerciare con la Russia.
Turchia, Georgia ed Emirati importano hi-tech occidentale e poi lo rivendano a uomini d’affari russi. Non è un caso che l’export nordamericano di microchip e di batterie al litio sia cresciuto in Turchia – Paese NATO- del più 4.000%), negli Emirati (+2.700%) e in Kazakistan (+900%).
Ankara ha preso da poco provvedimenti restrittivi, ma Mosca si è procurata un’alternativa alle Maldivecon di 400mila microchip (53 milioni di dollari), un numero secondo solo all’import russo di questi prodotti dalla Cina.
A inizio luglio, il Gruppo di lavoro internazionale che monitora il rispetto delle sanzioni ha riferito che con il Cremlino sono coinvolte almeno 155 società mondiali.Con questi dati il Mosca sarebbe in grado di raddoppiare la produzione missilistica con 1.000 unità l’anno.
Già prima della guerra, Pechinoera il principale fornitore di Mosca in fatto di componenti elettroniche per l’industria civile più che per i militari, vincolati ai prodotti occidentali di miglior qualità. E’ dubbio se oggi questa scelta valga ancora nonostante le minacce ritorsive di Washington.
Tuttavia Mosca non punta a primati, ma sta solo cercando di ridurre la dipendenza dalle catene internazionali più avanzate e di sottrarsi alla stretta delle sanzioni, questo significa adottare un indirizzo autarchico per le forze armate e industrie all’avanguardia.
La Russia sarà anche armata fino ai denti, ma tutto sommato rappresenta ben poca cosa nella ripartizione del PIL mondiale in un territorio dall’estensione immensa. Ecco perché non è esagerato parlare di una “economia di guerra autarchica”,non come quella stringente dei passati conflitti globali, ma tutta tecnologica e statalista, in un mondo dove la globalizzazione si divide ormai in diverse aree geopolitiche.