Il tribunale amministrativo della Puglia, sezione di Lecce, ha respinto il ricorso presentato da ArcelorMittal (AM) contro l’ordinanza firmata dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci il 27 febbraio dell’anno scorso che predisponeva la chiusura dell’area a caldo se, nei trenta giorni successivi al provvedimento, non fossero stati individuate e rimosse le fonti inquinanti.
I giudici, si legge nella sentenza, ritengono “che i fenomeni emissivi indicati nell’impugnata ordinanza sono stati determinati da malfunzionamento tecnico, difettosa attività di monitoraggio e di pronto intervento, nonchè criticità nella gestione del rischio e nel sistema delle procedure di approvvigionamento di forniture e di negligente predisposizione di scorte di magazzino” e ritengono infondati “tutti i motivi dedotti a sostegno dei ricorsi” presentati da AM (Arcelo-Mittal)
e dispongono che venga rispettato “il termine assegnato nella misura di giorni 60 per il completamento delle operazioni di spegnimento dell’area a caldo, nei termini e nei modi esattamente indicati nella stessa ordinanza sindacale impugnata”.
Nell’ordinanza firmata da Melucci, il Tar non intravede “alcuna violazione del principio di proporzionalità che risulta viceversa violato in danno della salute e del diritto alla vita dei cittadini di Taranto, che hanno pagato in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei “ragionevoli limiti”, il cui rispetto solo puo’ consentire, secondo la nostra Costituzione, la prosecuzione di siffatta attivita’ industriale”. Il Tar condanna ArcelorMittal, Ilva in amministrazione straordinaria e ministero dell’Ambiente al rimborso delle spese verso Comune di Taranto, Arpa Puglia e Codacons.