Dopo la lunga telefonata tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, avvenuta subito dopo i colloqui tra Stati Uniti e Ucraina a Gedda la scorsa settimana, la guerra in Ucraina sembra essere entrata nella sua fase finale. Zelensky ha accettato l’accordo limitato alle infrastrutture energetiche e ha riallacciato ieri i rapporti con Trump messi in discussione con il precedente e disastroso incontro alla Casa Bianca. La evidente cautela di Mosca è dovuta al fatto che la Russia ha un vantaggio sul campo di battaglia, che non è molto propensa a perdere prima che venga definito un accordo solido e garantito, ma in generale i russi sono sembrati ottimisti sulle prospettive di un accordo dopo la telefonata Trump-Putin. Se i negoziati per il cessate il fuoco andranno avanti, non è escluso che Putin raggiunga alcuni obiettivi che si era posto con l’invasione del febbraio 2022.
La struttura approssimativa di un accordo di pace realisticamente raggiungibile è ormai chiara a tutte le parti. Mosca vuole che l’accordo di pace segua lo schema degli accordi di Istanbul sviluppati dalle delegazioni russa e ucraina nella primavera del 2022, ma alla fine abbandonati da Kiev sotto la pressione britannica e americana. Tali accordi prevedevano la neutralità militare dell’Ucraina, un limite alle dimensioni del suo esercito e misure per proteggere i russofoni residenti in Ucraina. Dopo tre anni di guerra, Mosca ora vuole che Kiev riconosca la perdita di quattro regioni ucraine – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhia – che la Russia ha formalmente proclamato territori della sua Federazione sebbene siano ancora in parte stto il controllo ucraino, quindi non va escluso che il Cremlino si allontani, almeno parzialmente, dai suoi intenti annessionistici. In particolare nel corso dei loro colloqui Trump e Zelensky dovranno affrontare il problema del destino della centrale nucleare di Zaporizhia, attualmente occupata dalla Russia e vicina alla linea del fronte. Le discussioni sulla centrale nucleare sarebbero un buon segno perché indicherebbero la possibilità di concessioni realisticamente ottenibili dalla Russia. In contrapposizione alle richieste del tutto irrealistiche di Francia e Regno Unito e forse Germania che vorrebbero in alcune città ucraine forze NATO sul campo, sotto le mentite spoglie di “peacekeeping”. La chiave per comprendere la logica di Putin è che non starebbe combattendo per quel 20% di territorio che già occupa, ma come una punizione per l’Ucraina che ha fatto deragliare gli accordi di Minsk del 2015-2016. Questi prevedevano che le due regioni separatiste, Donetsk e Luhansk, rimanessero sotto il controllo formale ucraino con ampie concessioni di autonomia per le popolazioni russofone e, la cultura e la Chiesa Russa che fa capo al patriarcato di Mosca.
Per Putin non è invece negoziabile il mantenimento della “infrastruttura NATO”, che comprende addestramento militare e logistiche per l’esercito ucraino, stazioni di ascolto CIA lungo il confine russo e la de-occidentalizzazione delle strutture di sicurezza ucraine ormai supportate dalla CIA e all’MI6 britannico , come la Direzione principale dell’intelligence (HUR) e alcune direzioni del Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU).
Inoltre insisterà affinché Kiev e la NATO rinuncino alla promessa fatta al vertice NATO di Bucarest del 2008, secondo cui l’Ucraina sarebbe diventata membro dell’Alleanza. Un impegno,imposto agli alleati europei dall’allora presidente degli Stati Uniti George W Bush, che ha determinato un capovolgimento della politica estera russa e innescato il conflitto con la Georgia del 2008 e successivamente con l’Ucraina.
A giudicare dai segnali provenienti dall’amministrazione Trump, tutti questi obiettivi sono raggiungibili insieme alla revoca delle sanzioni contro la Russia, almeno da parte degli Stati Uniti.
Mentre il Cremlino potrebbe accettare che i 300 miliardi di dollari in asset russi congelati in Occidente, possano servire solo per la ricostruzione ucraina postbellica, a meno lo stesso sistema della Finanza globale non consideri destabilizzante tale scelta per il futuro di gli equilibri finanziari mondiali, senza più alcuna garanzia a fronte di decisioni politiche di questo o quello Stato.
Oltre a garantire la neutralità dell’Ucraina e ad allontanare ulteriormente la NATO dai confini russi, Putin sembra destinato al ripristino dello status di superpotenza della Russia agli occhi del mondo intero. Mentre per i leader occidentali verrà inevitabilmente accettato il principio che una grande potenza nucleare, capace di distruggere l’umanità, non può essere sconfitta militarmente.
In alternativa Mosca potrebbe essere influenzata in modo molto efficace dal soft power e da quei condizionamenti economici che l’Occidente ha esercitato con molto più successo durante la Guerra Fredda.
I tal caso la Russia c dipenderebbe culturalmente ed economicamente dall’Europa come è sempre stato, indipendentemente da ciò che la comunità occidentale pensa della Russia stessa . Ciò creerebbe le opportunità strategiche per l’Occidente di ridurre le minacce provenienti da Mosca invece di proseguire in futuro altre guerre per procura (Georgia? Moldavia?) come avvenuto in Ucraina.
Ma l’Europa con il suo riarmo e per la sua posizione poco chiara sulla conclusione del conflitto sembra andare nella direzione opposta delineando un altro tipo di scontro con gli Stati Uniti che non è più solo economico e tariffario, ma Geopolitico.
La difficoltà dell’Europa è che per imporsi in questo ruolo di pivot per una nuova Guerra Fredda dovrebbe essere uno Stato politicamente federato e non una galassia di nazioni spesso con interessi contrapposti.
Quanto al futuro della NATO (oggettivamente indebolita dalle posizioni oltranziste di Francia, Regno Unito e probabilmente Germania) il pessimismo diffuso sul suo futuro è ingiustificato, proprio perché è l’unico e vero strumento di coordinamento militare per la sicurezza di tutti.
GiElle