di Giuliano Longo
Che la Cina possa dotare Mosca in futuro di armi ed equipaggiamenti è molto probabile – se non lo sta già facendo – come pendant al sostegno “illimitato” dell’Occidente di armi e tecnologie all’Ucraina.
Si aprirebbe così una sorta di competizione indirettaperché se le armi cinesi dovessero avere prestazioni inferiori rispetto a quello occidentali potrebbero verificarsi , implicazioni per Taiwan rassicurando gli Stati Uniti sulla loro superiorità. Senza contare l’uso di armi cinesi in Ucraina, ove venissero intercettate sarebbe una festa per l’intelligence tecnico occidentale, come d’altronde stanno già facendo i russi con i più avanzati materiali catturati, non ultimi carri leopard, droni ecc. Ma lo sviluppo molto più probabile per la Cina è quello di mettere in atto controlli sulle esportazioni di minerali critici per le potenze occidentali che forniscono armi all’Ucraina facendo un grande favore a Putin. Questa è una leva che la Cina ha utilizzato già nel 2010 durante la disputa con il Giappone sulla pesca,quando la produzione industriale ad alta tecnologia del Sol Levante fu colpita dalla carenza di minerali critici di origine cinese, costringendo successivamente Tokyo ad accumulare riserve minerarie critiche. Nell’ottobre 2020, il Partito Comunista Cinese ha approvato un nuovo statuto che consente, ove necessario, di limitare le forniture di minerali critici a nazioni terze che le applichino a scopi bellici. Tale limitazione è già stata applicata alla Lockheed Martin per la produzione di caccia F-35 destinati a Taiwane vale non solo ai minerali critici estratti in Cina, ma anche per le molte imprese della catena di approvvigionamento internazionale controllate da Pechino.
Un problema per molti Paesi occidentali perché rispondere a tali restrizioni aprendo nuove miniere e creando nuove catene di approvvigionamento, può richiedere più di un decennio e i paesi coinvolti dovrebbero iniziare ad accumulare materiali critici come ha fatto il Giappone.
Senza sottovalutare le oscillazioni dei prezzi che sono ormai un problema cronico negli investimenti nei settori estrattivi di questi minerali, così come il superamento delle sfide ambientali, sociali e di governance (ESG) in questo nuovo gioco di forniture globali. Attualmente questi mercati includono il London Metal Exchange (borsa internazionale dei metalli) oggi di proprietà di Hong Kong Exchanges & Clearing il cui principale azionista è il governo della ex colonia britannica. Se la Cina, potenzialmente, influisse restrittivamente su queste catene globali ne consegue che aumenterebbe l’estrazione di nuove risorse, ipotecando anche i progressi rappresentati dall’Accordo minerario di Parigi 2050 sui cambiamenti climatici.
L’unica soluzione per evitare il blocco di Pechino sarebbero le rassicurazioni dell’Occidente alla Cina che le forniture di questi minerali non sono destinate ad applicazioni militari, opzione poco credibile in un contesto di crisi internazionale.
Tornando all’Ucraina c’è quindi il rischio che la questione potrebbe divenire una divisiva per molti Paesi dell’Occidente , con i leader politici intenti ad affrontare domande scomode sulla scelta del futuro dell’Ucraina rispetto al futuro del mondo intero.
I più battaglieri sosterrebbero che interferire su queste catene danneggerebbe l’economia cinese a causa dell’impatto sui suoi ricavi da esportazione. Ma la Cina ha 130 gigafabbriche in produzione o in via di completamento – rispetto a solo una manciata nel Regno Unito e in Europa – e ha un appetito insaziabile di materiali critici delle sue aziende tecnologiche. Riusciranno i nostri eroi dell’Occidente a rendere queste catene più resistenti all’intervento cinese? Il “nuovo grande gioco” nella competizione globale per i minerali critici è appena iniziato.
nella foto una miniera di terre rare