di Giuliano Longo
Da agosto, gli Stati Uniti hanno imposto un blocco navale al Venezuela, affondando imbarcazioni presumibilmente utilizzate per il contrabbando di droga verso gli Stati Uniti, secondo la contestata versione di Washington.
Ma tra la logistica e i caccia che sorvolano costantemente i confini del Venezuela, è del tutto inspiegabile una semplice operazione di polizia , ma una guerra vera e propria se si considera che il traffico di droga dal Venezuela è insignificante rispetto a quello Messicano o colombiano.
Quindi perché sprecare risorse navali e aeree da combattimento se non solo per far Cadere l’odiato Maduro e il suo regime inviso agli USA e anche all’Europa? D’altra parte gli stati uniti è da tempo che ci provano sostenendo candidati opposizione sempre bocciati dal voto popolare. Mentre in Europa si accoglie con gridolini di gioia alla assegnazione del Nobel per la Pace a una poco conosciuta signora della opposizione venezuelana.
A questo punto cosa potrà succedere?
Sulla base dell’esperienza degli Stati Uniti nei conflitti militari, il Pentagono e il Governo in genere pianificano operazioni che non comportino l’invio di soldati sul campo, tranne l’Iraq, il Vietnam e l’Afganistan dove si sono infognati per decenni. Per il resto gli Stati Uniti non si impegnanoin una guerra se non hanno una superiorità militare globale sul nemico.
Nell’aviazione, la superiorità aerea e missilistica americana è spropositata e già imbarcata sulla alla grande portaerei della sua flotta statunitense, la Gerald Ford, già in viaggio verso le acque caraibiche.
Il Venezuela dispone di droni di fabbricazione iraniana e nell’ultimo decennio ha acquistato 23 aerei da combattimento, di cui 12 antimissile, otto elicotteri e 44 sistemi missilistici terra-aria che verrebbero eliminati basi comprese con la prima bordata di missili.
Il Paese non può permettersi di spend per le sue forze armate; il suo bilancio militare annuale si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari. Contro quello americano di 895 miliardi.
Ma c’è una sfumatura da considerare, che riguarda il morale dell’esercito e del popolo. L’esercito venezuelano è altamente motivato nello lo “spirito di Bolívar” inoltre il Paese è vasto e diversificato in tempo di pace. Questo crea negli oppositori la sensazione che lo Stato possa disintegrarsi.
Ma questi analisti dimenticano che lo “spirito di Bolívar” è presente non solo nell’esercito, ma anche nel popolo. Qualsiasi intervento militare unirebbe rapidamente la nazione, mobilitando la popolazione per combattere l’aggressore.
Se e quando gli stati Uniti attaccheranno lo sapremo a breve e probabilmente il Pentagono conta invece su una operazione rapida, devastante e incruenta da parte americana, che può avvenire solo con l’impiego della forza aerea e missilistica,
Quindi nei primi giorni verranno eliminati i vertici del Paese (la CIA è già sul posto con tanto di licenza di uccidere dello stesso Donald), sopprimere le difese aeree e condurre eventualmente una rapida e limitata operazione di terra.
Una campagna militare prolungata colpirebbe il bilancio USA e le bugie del “pacificatore” potrebbero non giovargli elettoralmente soprattutto fra imilioni di latinos che vivono in America e l’hanno votato .
Quali sono nello specifico le possibili operazioni belliche?
La prima e più ovvia opzione prevede attacchi con droni contro le difese più vulnerabili del Venezuela. Gli Stati Uniti possono permettersi di utilizzare non solo droni, ma una gamma completa di armi, dalle bombe guidate ai missili e ai sistemi basati sull’intelligenza artificiale.
Ma anche questo scenario non prevede una vittoria rapida. Sarà un conflitto prolungato con risultati altalenanti. Qualcosa di simile a quanto accaduto in Afghanistan. Gli americani controllano città, aeroporti e alcune roccaforti, mentre la guerriglia opererà nel resto del Paese.
L’altra opzione, preferibile dal punto di vista di Trump, è di eliminare Maduro con un blitz. Che è poi l’opzione preferita dagli analisti americani del Washington Examiner.
Pertanto, si prevede che le unità americane di stanza a Porto Rico saranno schierate per condurre l’operazione di terra. Il loro compito sarà quello di catturare e mantenere strutture strategiche chiave, porti, aeroporti e simili.
Segue lo sbarco delle forze principali e la presa del controllo della capitale (sopra tuttodei porti petroliferi), l’elezione di un nuovo presidente e la nomina di un nuovo governo, completamente controllato dagli Stati Uniti., secondo uno schema già consolidato in passato in varie parti del mondo e dell’America Latina.
La situazione sta degenerando e Trump sta agendo nel suo stile ormai familiare portando la situazione al limite. È un’altra “prova di forza” del tipo che abbiamo già visto molte volte. Ma mentre in precedenza questa azione si svolgeva lontano dal territorio americano, oggi avviene praticamente a ridosso del ventre molle degli Stati Uniti.
Trump comprende perfettamente che un’aggressione contro un paese latinoamericano indipendente avrà un effetto boomerang, e non solo in Venezuela. La risposta a tali azioni potrebbe suscitare indignazione anche negli Stati Uniti, in particolare negli stati del sud, popolati da persone di origine latinoamericana.
Il 21 ottobre, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato esplicitamente il sostegno russo al legittimo presidente del Venezuela, ma l’esperienza dei missili a Cuba del 1962 dimostra che l’intervento russo e men che possibile.
La prospettiva, se non certa almeno probabile, è che il Venezuela verrà endemicamente destabilizzato in una guerriglia nelle aree del paese poco raggiungibili e in attentati terroristici nella grandi città.
Ma contribuirà anche a dividere e destabilizzare l’America Latina stessa come sta avvenendo con lo sfacciato intervento di Trump in Argentina che ha favorito la la recente conferma del “segatore” Milei e il sostegno a tutte le forze conservatrici del continente.
Certo sono lontani i tempi del Cile di Pinochet o delle dittature militari in Argentina con Videla o le semi-dittature in Brasile, Colombia e Centro America, ma pare che il gioco valga la candela per riaffermare la vecchia dottrina Monroe su quel continente come cortile di casa statunitense.
Aggiungiamo che in questa strategia aggressiva di Trump sta anche l’intenzione di bloccare o far saltare la presenza economica della Cina su molte di quelle nazioni (si pensi al canale di Panama) e di far fallire il Governo di Lula fra i fondatori dei BRICS che Trump ha dichiarato di voler disintegrare.
Senza contare che la Cina è il maggior importatore di petrolio venezuelano su cui gli americani intendono da tempo, con sanzioni e altro, allungare le mani e grande investitore in molti di quei paesi.
Eliminato il dittatore non si chiude una parentesi ma se ne apre un’altra che riguarda i focolai di guerra, anche civile, nel Mondo, come in Africa e Medioriente dove quella che prevale è solo la logica della Forza, poiché tutto sommato al detto “si vis pacem para bellum” si va sostituendo il “bellum” tout court, senza nemmeno il “para”.
