Esteri

130 Paesi ostacolano l’informazione. Il rapporto di Reporter senza Frontiere

Semmai il ”Vaccino principale contro la disinformazione”, fosse davvero l’esercizio del giornalismo, si sappia che  è “totalmente o parzialmente bloccato” in più di 130 paesi. E’ l’allarme lanciato da Reporter Senza Frontiere (Rsf) in una fase in cui la crisi sanitaria sta rendendo ancora piu’ difficile la copertura informativa. 

Secondo la classifica mondiale annuale sulla libertà di stampa, pubblicata dall’Ong, il 73% dei 180 paesi valutati sono caratterizzati da situazioni ritenute “gravissime”, “difficili” o “problematiche” per la professione. Solo 12 paesi su 180, ovvero il 7%, contro l’8% del 2020, mostrano una “buona situazione”. Una “zona bianca” che “non e’ mai” stata “cosi’ piccola dal 2013”, avverte Rsf.

Inoltre, la pandemia di Covid-19 ha rappresentato per i governi “una forma di opportunità per limitare la liberta’ di stampa”, ha spiegato alla France Presse il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire. La repressione si è  aggravata ulteriormente nei Paesi dove la liberta’ di stampa è maggiormente compromessa, come l’Arabia Saudita e la Siria, rispettivamente 170° e 173°  posto della classifica.  La pandemia ha anche “provocato un enorme blocco degli accessi” al territorio e alle fonti per i giornalisti “, in parte legittima, quando si trattava di precauzioni sanitarie, ma anche illegittima, ha avvertito Deloire.  La situazione è tanto piu’ preoccupante in quanto il giornalismo dovrebbe contrastare la “viralita’ della disinformazione oltre confine, sulle piattaforme digitali e sui social network”, a volte alimentata dal potere.  I presidenti Jair Bolsonaro in Brasile (111/ma posizione) e Nicolas Maduro in Venezuela (148/ma posizione) hanno così “promosso farmaci la cui efficacia non è mai stata dimostrata dal mondo medico”, ricorda la Ong.  In Iran (174°) le autorità “hanno moltiplicato le condanne dei giornalisti per minimizzare meglio il numero di morti legate” al Covid-19.  L’Egitto (166°) vieta “la pubblicazione di dati sulla pandemia diversi da quelli del ministero della Salute”. La Malaysia, che segna l’arretramento piu’ netto (119°) ha recentemente approvato “un decreto anti-fake news” che concede al “governo il diritto di imporre la propria versione della verità”.  E in Ungheria (92°) dove il regime di Viktor Orba’n “porta avanti in modo sfacciato” la repressione della libertà di stampa, le informazioni sul covid sono “bloccate”  dalla legislazione di emergenza in vigore da marzo 2020 che criminalizza “la diffusione” di false informazioni “

 In fondo alla classifica ci sono ancora la Cina (177°), davanti a Turkmenistan (178°), Corea del Nord (179°) ed Eritrea (180°).  In testa alla classifica, la Norvegia mantiene il primo posto per il quinto anno consecutivo, davanti a Finlandia e Svezia, tornata terza a scapito della Danimarca. Da notare l’uscita della Germania (13°) dalla zona bianca perchè decine di giornalisti sono stati attaccati “da manifestanti vicini a movimenti estremisti e complottisti durante manifestazioni contro le restrizioni sanitarie”. 

L’Europa rimane la regione più sicura, ma si sono moltiplicate le aggressioni e gli arresti abusivi, soprattutto in Francia (34°) durante le manifestazioni contro le restrizioni, in Italia (41°), Polonia (64°), Grecia (70°), Serbia (93°) e Bulgaria (112°).  Dall’altra parte dell’Atlantico la situazione resta “piuttosto buona” negli Stati Uniti (44°) “anche se l’ultimo anno di mandato di Donald Trump è stato caratterizzato da  400 e 130 arresti di giornalisti. La zona rossa ora accoglie il Brasile, dove “insulti, stigmatizzazione e orchestrazione delle umiliazioni pubbliche dei giornalisti” sono “diventati il segno distintivo del presidente Bolsonaro”. 

Lascia sempre a desiderare la situazione in Russia (150°), nazione che si è adoperata per “limitare la copertura” delle “manifestazioni legate all’oppositore Aleksei Navalny”. Infine, pur rimanendo il continente “più violento” per i giornalisti, l’Africa sta registrando alcuni miglioramenti in nazioni come il Burundi (147°), la Sierra Leone (75°) e il Mali (99°).

AGC GreenCom 

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