Politica

  Berlusconi e la macchina giudiziaria. Rocco Turi: “Urge una commissione di inchiesta che faccia luce”

 

Forte appello dello scrittore e saggista prof. Rocco Turi al Governo Meloni in difesa dei mille attacchi giudiziari contro Silvio Berlusconi. Dopo il racconto di Paolo Mieli sullo scoop del Corriere della Sera contro Berlusconi al Summit di Napoli, “Non si può più tacere”.

 

Dopo il retroscena svelato da Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera e autore  dello scoop nell’invito a comparire rivolto a Silvio Berlusconi il 22 novembre 1994, appare inevitabile una Commissione d’Inchiesta parlamentare che dimostri oppure no le responsabilità “dei comunisti” nel lungo attacco politico giudiziario all’ex Presidente del Consiglio, come vendetta al fallimento della “gioiosa macchina da guerra”.

Nelle interviste ad Enrico Mentana e Lucia Annunziata dopo la morte di Silvio Berlusconi, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha spiegato alla “bene e peggio” e in maniera confusa come fossero andate le cose in occasione dello scoop nell’invito a comparire del Presidente del Consiglio, mentre nel 1994 – a pochi mesi dalle elezioni che lo videro sorprendentemente vincitore – presiedeva il summit di Napoli sulla criminalità organizzata.

Nelle due interviste di Mieli sono evidenti le contraddizioni esibite o quanto meno, nonostante sia un giornalista di grido, nell’occasione non è stato capace di chiarire adeguatamente lo scenario di circa trent’anni or sono. E’ strano ma non tanto, perché le frasi pronunciate da Mieli appaiono più che contraddittorie in una reticenza forse voluta, al punto che Enrico Mentana lo ha chiaramente insinuato. L’intervista fatta da Lucia Annunziata sembra un salamelecco, ma è stato Mieli a renderla involontariamente interessante, citando il Presidente Scalfaro, per evidenziare contraddizioni e reticenza forse anche in maniera ingenua. Vero è che il documento in mano al direttore del Corriere della Sera proveniva direttamente dalla procura di Milano. Se all’epoca dei fatti Paolo Mieli avesse dichiarato almeno questo concetto sarebbe stata immediatamente chiara la genesi degli attacchi politici che Berlusconi da quell’istante avrebbe subito per ben trentanove anni. Appare evidentemente ingenuo, oppure parte di una strategia, affermare di non essere stato convocato per conoscere da dove arrivasse il documento per cui Mentana ha avvertito la necessità di allegare la sua chiosa; ma avrebbe dovuto Mieli stesso spiegarlo subito in un editoriale.

Insomma, dal momento che Berlusconi era stato da poco eletto si fa ben più larga l’ipotesi, sempre più consolidata negli anni successivi, che l’invito a comparire (dimostrato fallimentare, ma sufficiente a denigrare l’Italia in un contesto internazionale alla presenza di delegazioni di tutto il mondo) reso noto in quel preciso momento, fosse stato primo di una lunga serie concertata di attacchi politici e giudiziari in reazione al fallimento della “gioiosa macchina da guerra” che si era preparata a governare l’Italia. Berlusconi era stato considerato responsabile di quel fallimento e “doveva pagare”. Quale migliore occasione per mettere insieme un’armata politico-giudiziaria contro di lui in un summit internazionale? Lo avevo già scritto e quell’ipotesi pian piano sta diventando certezza inoppugnabile.

Intanto il Presidente Mattarella ha avuto l’opportunità di legittimare Berlusconi come statista partecipando al suo funerale; ancor più si è rivolto, pur senza citarlo, ai giovani magistrati in tirocinio pronunciando parole inequivocabilmente legate alla storia politica di Berlusconi. Ovvio che il Presidente della Repubblica abbia già fatto molto e difficilmente si presterebbe a confermare un concetto che gli osservatori liberi hanno saputo ben interpretare. Pertanto, in questo limbo di indeterminatezza ufficiale “i soliti comunisti”, come Berlusconi li chiamava, si sentiranno sempre nella legittimità di denigrare e offendere ancor più da morto, la persona che in tutto il mondo viene indicata “visionaria e di importanza mondiale”. D’altra parte ogni essere umano ha i suoi “nemici” e anche gli “accusatori” di Berlusconi possiedono altre ipotesi pur se “campate in aria” per attaccarlo duramente alla stregua di criminale e mafioso.

Tuttavia, essendo la nostra una democrazia, è ugualmente corretto esprimersi con opinioni dissacratorie e derisorie rivolte a Berlusconi, anche pervase da evidenti preconcetti. Ecco perché appare necessario addivenire ad una Commissione d’Inchiesta che dimostri oppure no le responsabilità “dei comunisti” nel lungo attacco politico giudiziario, immediatamente partito sul Corriere della Sera il 22 novembre 1994 – a parere di una fetta della popolazione italiana – come vendetta al fallimento della “gioiosa macchina da guerra”.Dopo il retroscena svelato da Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera e autore  dello scoop nell’invito a comparire rivolto a Silvio Berlusconi il 22 novembre 1994, appare inevitabile una Commissione d’Inchiesta parlamentare che dimostri oppure no le responsabilità “dei comunisti” nel lungo attacco politico giudiziario all’ex Presidente del Consiglio, come vendetta al fallimento della “gioiosa macchina da guerra”.

Nelle interviste ad Enrico Mentana e Lucia Annunziata dopo la morte di Silvio Berlusconi, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha spiegato alla “bene e peggio” e in maniera confusa come fossero andate le cose in occasione dello scoop nell’invito a comparire del Presidente del Consiglio, mentre nel 1994 – a pochi mesi dalle elezioni che lo videro sorprendentemente vincitore – presiedeva il summit di Napoli sulla criminalità organizzata.

Nelle due interviste di Mieli sono evidenti le contraddizioni esibite o quanto meno, nonostante sia un giornalista di grido, nell’occasione non è stato capace di chiarire adeguatamente lo scenario di circa trent’anni or sono. E’ strano ma non tanto, perché le frasi pronunciate da Mieli appaiono più che contraddittorie in una reticenza forse voluta, al punto che Enrico Mentana lo ha chiaramente insinuato. L’intervista fatta da Lucia Annunziata sembra un salamelecco, ma è stato Mieli a renderla involontariamente interessante, citando il Presidente Scalfaro, per evidenziare contraddizioni e reticenza forse anche in maniera ingenua. Vero è che il documento in mano al direttore del Corriere della Sera proveniva direttamente dalla procura di Milano. Se all’epoca dei fatti Paolo Mieli avesse dichiarato almeno questo concetto sarebbe stata immediatamente chiara la genesi degli attacchi politici che Berlusconi da quell’istante avrebbe subito per ben trentanove anni. Appare evidentemente ingenuo, oppure parte di una strategia, affermare di non essere stato convocato per conoscere da dove arrivasse il documento per cui Mentana ha avvertito la necessità di allegare la sua chiosa; ma avrebbe dovuto Mieli stesso spiegarlo subito in un editoriale.

Insomma, dal momento che Berlusconi era stato da poco eletto si fa ben più larga l’ipotesi, sempre più consolidata negli anni successivi, che l’invito a comparire (dimostrato fallimentare, ma sufficiente a denigrare l’Italia in un contesto internazionale alla presenza di delegazioni di tutto il mondo) reso noto in quel preciso momento, fosse stato primo di una lunga serie concertata di attacchi politici e giudiziari in reazione al fallimento della “gioiosa macchina da guerra” che si era preparata a governare l’Italia. Berlusconi era stato considerato responsabile di quel fallimento e “doveva pagare”. Quale migliore occasione per mettere insieme un’armata politico-giudiziaria contro di lui in un summit internazionale? Lo avevo già scritto e quell’ipotesi pian piano sta diventando certezza inoppugnabile.

Intanto il Presidente Mattarella ha avuto l’opportunità di legittimare Berlusconi come statista partecipando al suo funerale; ancor più si è rivolto, pur senza citarlo, ai giovani magistrati in tirocinio pronunciando parole inequivocabilmente legate alla storia politica di Berlusconi. Ovvio che il Presidente della Repubblica abbia già fatto molto e difficilmente si presterebbe a confermare un concetto che gli osservatori liberi hanno saputo ben interpretare. Pertanto, in questo limbo di indeterminatezza ufficiale “i soliti comunisti”, come Berlusconi li chiamava, si sentiranno sempre nella legittimità di denigrare e offendere ancor più da morto, la persona che in tutto il mondo viene indicata “visionaria e di importanza mondiale”. D’altra parte ogni essere umano ha i suoi “nemici” e anche gli “accusatori” di Berlusconi possiedono altre ipotesi pur se “campate in aria” per attaccarlo duramente alla stregua di criminale e mafioso.

Tuttavia, essendo la nostra una democrazia, è ugualmente corretto esprimersi con opinioni dissacratorie e derisorie rivolte a Berlusconi, anche pervase da evidenti preconcetti. Ecco perché appare necessario addivenire ad una Commissione d’Inchiesta che dimostri oppure no le responsabilità “dei comunisti” nel lungo attacco politico giudiziario, immediatamente partito sul Corriere della Sera il 22 novembre 1994 – a parere di una fetta della popolazione italiana – come vendetta al fallimento della “gioiosa macchina da guerra”.

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