Esteri

Elezioni di Midterm, ritirata russa da Kherson, assenza di Putin al G20, tre snodi di una svolta possibile

 

 

di Giuliano Longo

 

Ci sono tre avvenimenti apparentemente scollegati, ma che possono portare ad una svolta nella situazione geopolitica globale in un momento di grande tensione e pericoli di escalation. Il primo riguarda la limitata vittoria dei repubblicani (ed in particolare la sconfitta delle ossessioni di Donald Trump che pure ha fatto eleggere al Congresso 200 dei sui fedeli) alle elezioni di Midterm. Risultato che in qualche modo conferma la solidità dell’amministrazione Biden e la possibilità di una sua ricandidatura di qui a due anni. Il secondo riguarda la ritirata dei russi da Kherson, ora arroccati sulla riva sinistra del Dniepr, che è indubitabilmente una vittoria ucraina di riconquista di uno dei nodi urbani strategici occupato a marzo dai russi. Eppure, anziché suscitare reazione trionfali, dai primi commenti trapela una certa cautela di giudizio sia da Kiev che dalla NATO. Una sorta di diffidenza di fronte ad una operazione che appare, almeno da parte di Mosca, più mediatica che fondata sui rapporti di forza su un fronte di 1.000 chilometri. Infine il rifiuto di Putin a partecipare al G20 di Bali inviando il suo ministro degli esteri Lavrov che può essere interpretato come una mossa tattica (furbesca) per non essere il bersaglio delle cocenti critiche da parte dell’Occidente, ma anche il segnale della volontà di proseguire il sanguinoso conflitto se non matureranno le condizioni sul tavolo dei contatti esistenti e della diplomazia “occulta” al lavoro almeno per un cessate il fuoco. Un annuncio che, guarda caso, avviene dopo l’esito delle elezioni di midterm sulle quali il Presidente russo aveva puntato per ridurre Biden a miti consigli di fronte ad una serpeggiante opposizione ai costi della guerra che alligna anche in campo Democratico. Scorrendo la stampa russa, anche quella di opposizione (che pure esiste), si nota in generale un appiattimento sulla tesi del risparmio di vite umane esposta dai generali, ma in altri luoghi, non necessariamente fanaticamente nazionalisti, si levano voci di immediata rivalsa contro l’Ucraina, critiche agli Stati Maggiori e alla classe dirigente di Putin boiari miliardari compresi. Un mix di patriottismo e malinconie vetero-sovietiche che tende a spostarsi su una critica al sistema economico e sociale, pur sempre capitalista, in attesa che il “Generale Inverno” capovolga la situazione su un fronte sostanzialmente stabile e sorretto quasi esclusivamente dal supporto militare dell’Occidente a Zelensky. Il buon senso suggerisce – certamente non il mainstream mediatico che vale quanto le armi sul campo- che si avvicini il momento di una svolta non solo perché fra le opinioni pubbliche d’Occidente va scemando il consenso al Paese aggredito (l’Ucraina) per i costi di una guerra che saranno decuplicati con l’ eventuale ricostruzione del Paese. Ma per le conseguenze di una crisi economica e inflativa che aveva le sue radici ben prima della “operazione speciale” di Putin. Un a situazione legata più all’inflazione che alla crisi energetica, tanto più che le scorte di gas europee dovrebbero essere sufficienti a superare l’inverno, mentre gas (dall’Ucraina) e petrolio russo in un modo o nell’altro continuano a scorre più o meno dirottati ad Oriente. Una situazione globalmente difficile non solo per i costi delle materia prime (comprese quelle dell’alimentazione) , ma per il freno alla produzione anche tecnologica (che colpisce persino i giganti del digitale), che coinvolge direttamente l’economia della Cina. E forse qui sta il punto, proprio nel ruolo che potrà svolgere il pragmatismo di Pechino nei confronti della Russia, mentre manca del tutto una voce autonoma dell’Europa (che sta pagando il prezzo più alto) nei confronti di Washington.

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