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Fotovoltaico, dal Sahara energia pulita ma dannosa per l’ambiente

I deserti più ostili del mondo sono anche potenzialmente i posti migliori sulla Terra per raccogliere l’energia solare. I deserti sono spaziosi, relativamente piatti, ricchi di silicio – la materia prima per i semiconduttori di cui sono fatte le celle solari – e mai a corto di luce solare. I ricercatori immaginano che potrebbe essere possibile trasformare il deserto più grande del mondo, il Sahara, in un gigantesco parco solare fotovoltaico, in grado di soddisfare quattro volte l’attuale domanda di energia del mondo.

Mentre però la superficie dei pannelli solari assorbe la maggior parte della luce solare che li raggiunge, solo una frazione (circa il 15%) di tale energia in ingresso viene convertita in elettricità. Il resto viene accumulato e poi restituito all’ambiente sotto forma di calore. I pannelli sono solitamente molto più scuri del terreno che ricoprono, quindi una vasta distesa di celle solari assorbirà molta energia aggiuntiva e la emetterà come calore, potenzialmente influenzando il clima.

Se questi effetti fossero solo locali, l’effetto potrebbe essere quasi impercettibile, ma un progetto mondiale con l’ambizione di soppiantare i combustibili fossili sarebbe estremamente vasta, coprendo migliaia di chilometri quadrati. Il calore riemesso da un’area di queste dimensioni quindi sarebbe ridistribuito dal flusso d’aria nell’atmosfera, con effetti regionali e anche globali sul clima. Gli effetti potrebbero essere imprevedibili, passando da un deserto che assorbe poco calore e con un’escursione termica altissima, ad un ambiente che assorbe moltissimo calore e che lo rilascia poi velocemente in atmosferadurante la notte.

Uno studio del 2018 ha utilizzato un modello climatico per simulare gli effetti dell’albedo inferiore sulla superficie terrestre dei deserti causati dall’installazione di imponenti parchi solari. L’albedo è una misura di quanto bene le superfici riflettono la luce solare. La sabbia, ad esempio, è molto più riflettente di un pannello solare e quindi ha un albedo più alto.

Il modello ha rivelato che qualora le dimensioni del parco solare raggiungessero il 20% dell’area totale del Sahara, si attiverebbe un ciclo esotermico. Il calore emesso dai pannelli solari più scuri (rispetto al suolo del deserto altamente riflettente) crea una forte differenza di temperatura tra la terra e gli oceani circostanti, che abbasserebbe la pressione dell’aria superficiale e farebbe salire l’aria umida transformandosi in gocce di pioggia. Con più piogge monsoniche, le piante crescono e il deserto riflette meno energia del sole, poiché la vegetazione assorbe la luce meglio della sabbia e del suolo. Con più piante presenti, più acqua viene evaporata, creando un ambiente più umido che provoca la diffusione della vegetazione.

Questo scenario potrebbe sembrare fantasioso, ma gli studi suggeriscono che un ciclo simile ha mantenuto gran parte del Sahara verde durante il periodo umido africano, terminato solo 5.000 anni fa. Quindi, un gigantesco parco solare potrebbe generare molta energia per soddisfare la domanda globale e allo stesso tempo trasformare uno degli ambienti più ostili della Terra in un’oasi abitabile.

Quello che potrebbe sembrare un sogno però potrebbe rivelarsi un disastro: le variazioni di pressione andrebbero ad influire pesantemente sulle correnti d’aria oceaniche, provocando potenzialmente tifoni e tormente in Asia, ed andando invece ad inaridire la foresta amazzonica. Quello che quindi sembrerebbe una soluzione efficace al riscaldamento globale, potrebbe avere effetti collaterali che andrebbero ad annullare quasi totalmente i benefici ottenuti dal risparmio di CO2.

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