Cronaca

  L’affaire Mattei. Di verità si può anche morire?/6

di Otello Lupacchini*

Già a questo livello, è dato cogliere appieno l’ipocrisia che trasuda dall’ostentata incapacità di Marcello Colitti di cogliere i nefas  o, comunque, di valutarne la rilevanza causale rispetto alla tragica uscita di scena di Enrico Mattei. Come, però, s’è detto, neppure mancarono le minacce di morte.

In proposito si è già accennato alla lettera ricevuta il 29 luglio 1961 dal presidente dell’Eni, veicolante una condanna a morte da parte dell’Oas, di cui, il successivo 2 agosto, il periodico «Europa Libera» pubblicò il testo, in francese, e la traduzione italiana. A questa, peraltro, avevano fatto seguito una seconda lettera di minacce dell’Oas, da Orano, a pochi giorni di distanza dalla prima, e una terza da Bruxelles.

È pur vero che Gaetano Baldacci, sul numero 32 di «ABC» del 6 agosto 1961, sostenne che mai nessuno avesse minacciato la vita di Mattei, a cui muoveva piuttosto l’accusa di far leva, da sempre, come Mussolini, nei momenti difficili, sulla mobilitazione dello «spirito nazionale» per sostenere la propria dittatura, la corruzione, il malgoverno, che invece avrebbero imposto di tradurlo davanti a un’alta corte di giustizia; giungendo addirittura ad affermare che «per reagire alla protesta di tutti i governi, Mattei inventa ora la lettera minatoria dell’Oas (…). Il tentativo (…) è penoso, ma dimostra pure con quale pagliaccio abbiamo a che fare (…). E ora, aspettiamo il falso attentato». Altrettanto vero che anche il direttore de «Il Borghese dubitava fortemente dell’autenticità della lettera minatoria: Mario Tedeschi esprimeva tali dubbi nel già citato articolo Sangue e petrolio, sottolineato l’errata denominazione dell’organizzazione e la presenza di numerosi «strafalcioni del testo originale francese». Non meno vero, finalmente, è che dubbi sull’autenticità delle minacce dell’Oas erano infine nutriti all’interno del Sifar: il maggiore De Forcellinis riteneva, «che le lettere fossero state scritte dallo stesso Mattei».

Di tutt’altro avviso, sul disastro aereo di Bascapè, Giulio Sapelli (Il metodo Mattei. Intervista a Giulio Sapelli,https://www.tempi.it/il-metodo-mattei-intervista-a-giulio-sapelli/), ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, dal 1994, e tra il 1996 e il 2002 Consigliere di Amministrazione dell’Eni e componente dell’Audit Committee del gruppo:  «Non ho mai avuto dubbi: Mattei è stato ucciso dall’estrema destra francese, che lo aveva già minacciato di morte per l’appoggio che aveva dato e dava alla lotta degli algerini per la loro indipendenza. Non a caso quell’attentato avviene nello stesso periodo dell’attentato a De Gaulle organizzato da quella stessa estrema destra; fortunatamente per il generale e per la storia della Francia quell’attentato non è andato a buon fine, ma quello contro Mattei, nel quale ha un ruolo importantissimo dal punto di vista della sua realizzazione la mafia italiana, invece riesce. Non ho mai avuto dubbi su questo, non ho bisogno di vedere le carte giudiziarie. C’è una verità storica più evidente di quella giudiziaria»..

A completamento del quadro, occorre aggiungere che le minacce alla vita del presidente dell’Eni, ormai non più rivendicate dall’Oas, e gli inviti ad abbandonare l’attività proseguirono sino a pochi giorni prima della morte. Enrico Mattei aveva, peraltro, confidato i suoi timori anche in famiglia, alla moglie Margherita Paulas e al fratello Italo.

Recentemente, Giacomo Pacini ha rinvenuto un documento inedito dell’intelligenceitaliana del marzo 1962, in cui si paventava un possibile sabotaggio dell’aereo privato del presidente dell’Eni proprio in Sicilia, architettato da uomini dell’Oas. Riportando il contenuto di alcune note dei Servizi di sicurezza, Pacini scrive: «A inizio gennaio 1962, si cominciò a parlare esplicitamente di un attentato contro l’aereo di Mattei che sarebbe stato progettato da uomini dell’Oas. “L’aereo” si legge “avrebbe dovuto essere sabotato con una bomba ad orologeria, piazzata a Milano, che avrebbe dovuto scoppiare dopo la partenza da Roma, al di sopra del Mediterraneo, per impedire ogni inchiesta sulla caduta dell’apparecchio”. Il 23 marzo, in un’ennesima informativa, l’Uar (Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, n.d.r.) ribadiva che “l’Oas non ha rinunciato al proposito di far la pelle ad Enrico Mattei” e ha “addirittura esaminato la possibilità di abbatter[ne] l’apparecchio nel caso questi si recasse in Algeria”. Miliziani dell’Oas avrebbero inoltre proposto un piano per un eventuale attentato contro Mattei da attuare nella zona di Gela nel caso di un suo viaggio in Sicilia. Non solo; l’Oas stava cercando accordi anche con la mafia al fine di stabilire collegamenti marittimi clandestini fra l’Algeria e la Sicilia. Come noto, nel suo ultimo viaggio in Sicilia, Mattei atterrò proprio a Gela. Nel 1997, in un’intervista al “Corriere della Sera”, Jean Susini, dopo aver ricordato gli anni passati in Italia, ha sostenuto che quell’attentato potrebbe tranquillamente averlo organizzato l’Oas, visto che, a suo dire, le ragioni per far fuori Mattei c’erano tutte. Egli infatti: “forniva armi ai ribelli algerini attraverso la Tunisia, era un gioco che rientrava negli interessi petroliferi dell’Italia (…). I veri nemici di Enrico Mattei erano i francesi d’Algeria”».

Abbiamo visto come Enrico Mattei, democristiano dal 1944, negli incipienti anni Sessanta si muovesse abilmente nel contesto segnato dalla svolta politica che diede allora vita ai governi di centro-sinistra, ottenendo non soltanto l’appoggio del Socialisti, ma anche del  Partito Comunista Italiano, per dar vita al suo sogno: l’indipendenza energetica dell’Italia, allorché il mercato petrolifero mondiale era dominato dalle grandi compagnie petrolifere .statunitensi, chiamate le «Sette Sorelle», vale a dire Standard Oil of New Jersey, Royal Dutch Shell, Anglo-Persian Oil Company, Standard Oil of New York Texaco, Standard Oil of California e Gulf Oil, le quali imponevano ai paesi produttori condizioni di vero sfruttamento. Molti degli organi di stampa di allora, per lo più legati alle grandi famiglie industriali italiane, erano apertamente contrari alla sua politica, basti dire che, sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche, si crearono due schieramenti: da una parte, i fogli conservatori e moderati, come il «Corriere della Sera», e, da un’altra, quelli favorevoli, come «Il Giorno», che era la voce della sua linea politica e che aveva il potere di influenzare l’opinione pubblica, sostenendolo,  e gli organi di partiti di sinistra. Quanto ai politici, il presidente dell’Eni non esitava a finanziarli. A proposito dei suoi obiettivi, del resto, Enrico Mattei era chiaro, dal momento che, per lui, il fine giustificava i mezzi: «Per me i partiti sono come taxi: finita la corsa, pago e scendo».

*Giusfilosofo

6/SEGUE

Related posts

Frode fiscale e riciclaggio, operazione Krimata della Guardia di Finanza tra Crotone ed Isola Capo Rizzuto

Redazione Ore 12

Lazio, Marche ed Umbria, torna l’incubo del grande sisma

Redazione Ore 12

Sequestrati dalla Guardia di Finanza beni per oltre sei milioni di euro per frode fiscale

Redazione Ore 12