Economia e Lavoro

Lavoro, quando la politica non riesce a leggere i numeri

 

di Natale Forlani

Il trend della crescita dell’occupazione nel mese di aprile 2023 (+48 mila posti di lavoro) prosegue analogamente a quello dell’economia. In parallelo, tende a migliorare anche la qualità dei rapporti di lavoro. Un risultato, secondo il bollettino pubblicato dall’Istat, generato dalla crescita costante dei posti di lavoro a tempo indeterminato (+74 mila), che compensa la perdita di quelli a termine. Una tendenza confermata anche dalla comparazione tra i dati dell’ultimo trimestre con quello precedente (+123 mila posti di lavoro tra i quali 114 mila a tempo indeterminato). I recenti bollettini mensili dell’Istat aggiornano costantemente i record storici conseguiti dal nostro mercato del lavoro nel corso degli ultimi 12 mesi: il numero assoluto degli occupati (23,450 milioni, +390 mila); la quota dei lavoratori dipendenti (18,420 milioni, +470 mila); il numero dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (15,460 milioni, +488 mila); il tasso di occupazione arrivato al 61% (+1,7%).

Nella crescita dell’occupazione si travasa la riduzione delle persone in cerca di lavoro (-72 mila rispetto all’aprile 2023), in particolare di quelle inattive (-383 mila). Rispetto allo stesso mese dello scorso anno i maggiori beneficiari risultano essere le donne (+217 mila) e i lavoratori con più di 50 anni (+409 mila). La crescita di questi ultimi risulta influenzata anche dall’invecchiamento della popolazione attiva e da una parziale decelerazione del numero dei pensionamenti. Il confronto annuale registra anche una significativa ripresa dei lavoratori autonomi (+71 mila). Il segnale di una possibile inversione di tendenza rispetto alla decrescita registrata nel secondo decennio degli anni 2000, e nel corso della pandemia: nell’insieme una perdita di oltre mezzo milione di lavoratori autonomi, professionisti e partite Iva. La lettura delle serie storiche dell’Istat consente anche di valutare le tendenze strutturali, le potenzialità e le criticità del nostro mercato del lavoro nell’immediato futuro e che dovrebbero essere gestite in modo adeguato. A influenzare le tendenze positive è la crescita costante di una domanda di lavoro, in particolare di quella più qualificata, che risulta superiore all’offerta disponibile. Tutto ciò per la combinazione di una riduzione costante delle persone in età di lavoro (-642 mila rispetto al 1° gennaio 2020), che proseguirà nei prossimi anni, e della carenza di competenze coerenti con i fabbisogni delle imprese che si sta avvicinando rapidamente al 50% dei profili professionali ricercati (vedi indagini Excelsior Unioncamere-Anpal-ministero del Lavoro). La carenza di offerta di lavoro offre anche una spiegazione convincente alla significativa riduzione dei disoccupati (-460 mila) e degli inattivi (-547 mila) e all’aumento di 390 mila posti di lavoro rispetto ai numeri precedenti la pandemia Covid (febbraio 2020). Significativo il fatto che la riduzione delle persone inattive risulti particolarmente concentrata nella fascia di età over 50, collegata anche al parziale rallentamento delle uscite per motivi di pensionamento. Con una crescita dei posti di lavoro a tempo indeterminato (+580 mila) superiore a quella generale associata all’incremento degli orari medi pro capite lavorati su base annua, motivata dall’esigenza delle imprese di utilizzare al meglio le competenze già disponibili e adeguatamente formate per la difficoltà di reperirle nel mercato del lavoro. Un’inversione delle scelte operate nel corso della seconda decade degli anni 2000 e caratterizzate da un aumento della flessibilità dei rapporti di lavoro, con un maggior utilizzo dei contratti a termine e part-time. Ancora più significativa se si tiene conto che la crescita della nuova occupazione sta avvenendo in particolare nei comparti dei servizi, a partire dal turismo e dalla ristorazione, caratterizzati da elevata stagionalità. Questa sarebbe la condizione ideale per cercare di rimediare alcune criticità storiche del nostro mercato del lavoro. Ad esempio per ridurre i divari generazionali e di genere, dato che i bacini di riserva per le nuove assunzioni risultano composti prevalentemente da giovani e donne. Ovvero per cercare di migliorare le condizioni salariali dei lavoratori, dato che la carenza di risorse umane tende a favorire una migliore remunerazione dei lavoratori. Una condizione che trova riscontro nell’aumento delle dimissioni volontarie di molti lavoratori nel corso degli ultimi 2 anni, attratti dalle migliori condizioni salariali e di lavoro offerte da altre imprese. All’opposto, il dibattito pubblico riguardo alle scelte da intraprendere per le nuove politiche per il lavoro continua a essere dominato dalla retorica della precarietà, dei vincoli da introdurre per i contratti a termine, dagli interventi finanziari a carico dello Stato, e dei contribuenti, per sostenere i redditi dei lavoratori e delle famiglie. Politiche che danno per scontata l’impossibilità di utilizzare meglio, e in modo più produttivo, le tecnologie, le organizzazioni del lavoro e le risorse umane. Una specie di mondo all’incontrario, in questo caso affollato anche dalle classi dirigenti che dovrebbero offrire risposte all’altezza dei tempi e dei fabbisogni. La carenza quantitativa di risorse umane competenti rappresenta la principale criticità del nostro mercato del lavoro. Le tendenze spontanee tendono ad aggravare questa criticità in relazione alla fuoriuscita dal mercato del lavoro dei lavoratori anziani, mediamente superiore ai 700 mila l’anno, rispetto a un potenziale ingresso di nuovi giovani inferiore al mezzo milione. Un problema estremamente serio data l’esigenza di aumentare l’occupazione in termini assoluti, per assicurare la sostenibilità dell’aumento della spesa sociale che deve fare i conti con l’invecchiamento della popolazione. L’esigenza di rigenerare la popolazione attiva, dovendo fronteggiare nel contempo le conseguenze del declino demografico e l’obsolescenza delle professioni derivante dall’impatto delle tecnologie digitali, richiede uno sforzo collettivo che ancora non si intravede nei comportamenti degli attori istituzionali e sociali che dovrebbero concorrere al perseguimento dell’obiettivo.

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