Esteri

L’oro blu che ossessiona l’Etiopia

di Fabio Marco Fabbri

L’Etiopia ha sempre avuto verso “l’acqua” un comprensibile approccio ossessivo. La gigantesca diga che sta portando sul borderline i rapporti con l’Egitto, la Grand Ethiopian Renaissance Dam (oltre 10 milioni di metri cubi di capienza), è un esempio di quanto possa essere necessario per Addis Abeba avere il controllo dell’oro blu. Tuttavia, questa diga è un fuoco che cova sotto la brace dei rapporti con gli Stati lungo il Nilo, a valle dell’Etiopia, ma garantisce ad Addis Abeba un ruolo strategico nella gestione dell’acqua del Nilo azzurro (che si unisce con il Nilo Bianco a Khartoum), e una posizione di forza nei rapporti con Sudan ed Egitto. L’Etiopia ha sempre manifestato la necessità di avere uno sbocco sul Mar Rosso ma i confinanti Somalia, Gibuti ed Eritrea creano un perimetro geografico che preclude la comunicazione con la costa. Così il premio Nobel per la Pace del 2019 – poco meritato – Abiy Ahmed vorrebbe ottenere un accesso al Mar Rosso senza invadere i Paesi vicini, ma solo negoziando. La settimana scorsa il primo ministro etiope, rispondendo alle domande dei deputati, dei quali oltre il novanta per cento appartengono al Partito della prosperità, di cui è il leader, ha dichiarato di non avere intenzioni di invadere altri Paesi, ma che continuerà a chiedere “senza riserve”, l’accesso ai porti del Mar Rosso. Ha poi continuato dicendo che l’Etiopia è in forte espansione economica e demografica. E che non avere un accesso al mare è un “grosso problema”. Ha comunque assicurato che non c’è nessuna volontà di minacciare la sovranità della vicina Eritrea che, nel periodo della sua annessione tra il 1950 e il 1993, garantiva all’Etiopia una via al mare. Senza dubbio, dopo trent’anni di guerra, palese e latente, con l’Eritrea oggi un interessante riavvicinamento esiste. E come ha osservato Ahmed, il suo Paese non può più dipendere, come è attualmente, solo dal porto di Gibuti per i suoi approvvigionamenti. Nel suo discorso, il capo del Governo etiope ha toccato due tasti estremamente delicati e strategici: il primo, molto ambiguo, ha sfiorato la minaccia quando ha affermato di non voler scegliere la guerra; l’altro, più aperto, è andato verso l’idea di una cooperazione interregionale dell’Africa orientale, che agevoli le dinamiche commerciali transfrontaliere nel quadro di uno sviluppo globale dei Paesi del Corno d’Africa. Al di là delle ovattate elucubrazioni di politica regionale, Abiy Ahmed ha espresso alcuni concetti inequivocabili: tra questi il “diritto naturale” dell’Etiopia di avere uno sbocco al mare, ritenuta una questione esistenziale per il suo Paese; inoltre ha ammesso che gli etiopi – oltre centoventi milioni – non possono vivere in quella che definisce una “prigione geografica”. Ma cosa si cela dietro queste affermazioni, che cavalcano i discorsi istituzionali da tempo? Nel frattempo, il primo effetto è che l’intero Corno d’Africa è stato messo in allerta. Conoscendo le “modalità operative” del premio Nobel per la Pace – vedi il Tigray – questi obiettivi espansionistici, anche se giustificati da ragioni economiche, fanno temere che un nuovo fronte di crisi possa aprirsi in quest’area. Tuttavia, Ahmed ha fatto sapere che vorrebbe giocarsi le sue carte migliori, condividendo la gestione dei suoi gioielli nazionali, come le infrastrutture della diga del Rinascimento sul Nilo Azzurro, o vendere le azioni di società come l’Ethiopian Airlines, il tutto in cambio di un porto sul Mar Rosso. Però Eritrea, Somalia e Gibuti hanno sottolineato di non voler rinunciare alla propria sovranità, spingendo il capo del Governo etiope a rettificare quanto annunciato pochi giorni prima. Ahmed, da par sua, ha “estratto dal cappello” una maldestra correzione dei suoi programmi sul Mar Rosso, che tuttavia non ha rassicurato né convinto gli Stati interessati. Ma la “questione” dello sbocco al mare fa sistematicamente ritorno nelle discussioni sugli affari regionali. L’Etiopia, gigantesco stato del Corno d’Africa, ha goduto nel passato di due porti e possedeva la Marina, ma l’indipendenzadell’Eritrea nel 1993, e la successiva guerra tra i due Paesi, tra il 1998 ed il 2000, l’hanno privata di questo sbocco sul Mar Rosso. Dal 2000 quasi tutte le importazioni in Etiopia sono transitate per il porto di Gibuti, a cui Addis Abeba paga ogni anno oltre un miliardo e mezzo di dollari in dazi portuali. Per Addis Abeba questo sistema di pedaggio non agevola lo sviluppo economico, ma un accesso al mare diretto potrebbe incrementare notevolmente la crescita del Pil. Come già scritto, l’Etiopia è fondamentalmente un impero e la retorica del capo del Governo ha un carattere imperialista, tanto che gli Stati limitrofi così la percepiscono. Ma oltre le dichiarazioni, quale potrà essere la strada che Abiy Ahmed potrebbe imboccare per raggiungere il mare. E quali mezzi è disposto a utilizzare? La risposta al momento è da delineare. Ma in realtà è innegabile che il tutto sarà integrato nel quadro di una visione imperialista dell’Etiopia; e la recente affermazione del premio Nobel per la Pace chiarisce il tutto: “Se le persone hanno fame, faranno di tutto pur di non accettare la morte”.

Tratto da L’Opinione

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