Esteri

#NONSONODACCORDO – Il Memorandum Italia-Libia sui migranti sta per scadere il 2 novembre

 

di Sara Valerio

 

100.000 persone respinte negli ultimi 5 anni, intercettate in mare e riportate forzatamente in Libia, in centri d’accoglienza dalle condizioni disumane.

100 milioni di Euro spesi in formazione e equipaggiamenti destinati alla guardia costiera (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni attraverso la missione militare italiana dedicata).

Centinaia di giovani uomini, donne e bambini naufragati nel Mar Mediterraneo.

Questi i costi umani e finanziari dell’accordo Italia – Libia, con cui si cerca, dal 2017, di bloccare le partenze dei migranti, nonostante la brutalità dei respingimenti e le disumane condizioni dei “centri di accoglienza”. Lo dicono le Nazioni Unite, che accusano Tripoli di sistematiche collusioni con i trafficanti di esseri umani e di aver creato dei veri e propri luoghi di detenzione in cui i migranti vengono rinchiusi prima e dopo il recupero in mare, spesso vittime di stupri e torture.

Molti provengono dall’Africa subsahariana e settentrionale, un numero minore dall’Asia e dal Medio Oriente. I motivi per cui hanno lasciato i loro paesi d’origine sono vari. Alcuni sono fuggiti a causa di guerre, carestie o persecuzioni. Altri sono partiti in cerca di una migliore istruzione o opportunità di lavoro. Molti di loro intendono rimanere in Libia, altri sognano di raggiungere l’Europa, o sono spinti a farlo dal peggioramento delle condizioni in loco. Tutti sono accumunati dal desiderio di vivere in sicurezza e dignità.

Se entro il 2 novembreil governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libiaverrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni, con conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati.

L’accordo prevede il sostegno alla nazione africana, attraverso fondi, mezzi e addestramento della guardia costiera. Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’UE.

Già tre anni fa le parti si erano impegnate al “superamento” dei “centri di accoglienza”, che tuttavia non è mai avvenuto. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha più volte accusato le autorità libiche di essere direttamente coinvolte in traffici illegali. Nei 20 dossier delle Nazioni Unite si parla esplicitamente di “tortura, abusi, stupri, riduzione in schiavitù, vendita di migranti”. Ma mai dall’Italia e da Bruxelles si è deciso di interrompere i finanziamenti, nonostante la continua violazione dei patti.

Per questi motivi nei giorni scorsi sono state presentate interpellanze parlamentari, come quella di Riccardo Magi (Più Europa) che ha chiesto lo stop all’intesa e l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui rapporti tra le due sponde del Mediterraneo.

Il 26 ottobre, inoltre, diverse associazioni, tra cui Amnesty, Medici Senza Frontiere, il Tavolo Asilo, hanno manifestato all’Esquilino, davanti alla basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, a pochi passi dal Viminale. Nella piazza i manifestanti, con gli occhi bendati e mani tinte di rosso, hanno esposto cartelli con la scritta “Non sono d’accordo”. Presenti anche alcuni esponenti del centrosinistra, come Elly Schlein, Laura Boldrini, Matteo Orfini e Arturo Scotto.

I manifestanti hanno aderito alla petizione di 40 organizzazioni umanitarieche hanno firmato un appello congiunto. Tra i sottoscrittori anche i gesuiti del Centro Astalli, la Comunità Papa Giovanni XXIII e la Fondazione Migrantes della Cei. «Alla luce della situazione di insicurezza e instabilità della Libia, delle innumerevoli testimonianze di abusi e violenze», i promotori chiedono all’Europa«di riconoscere le proprie responsabilità e al Governo italiano di non rinnovare gli accordi con la Libia».

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