Politica

Riforme, per quella delle pensioni arriva l’assegno in due tempi?

Tra i temi a cui il governo sta lavorando c’è la riforma delle pensioni: l’obiettivo è quello di riuscire a trovare un punto di incontro tra le risorse a disposizione dello Stato e le richieste dei sindacati entro la fine dell’anno, per evitare che – scaduta Quota 41 – dal primo gennaio 2023 si torni alla Legge Fornero. Tra le ipotesi sul tavolo, che negli ultimi tempi avrebbe preso più spinta rispetto alle altre, c’è la cosiddetta “pensione a due tempi“.Si tratta di una forma di pensionamento anticipato, che quindi renderebbe possibile l’uscita dal mondo del lavoro – per chi lo desidera – prima dei 67 anni. Il meccanismo della “pensione a due tempi“ prevede che una parte della pensione, quella contributiva, venga erogata prima dei 67 anni. Mentre la seconda parte, la quota retributiva, venga integrata quando si saranno raggiunti i requisiti stabiliti per la pensione di vecchiaia. La prima quota ad arrivare sarebbe quella relativa ai contributi versati, calcolata con il sistema contributivo; la seconda quota, quella retributiva, arriverebbe in un secondo momento. Una volta raggiunta la pensione di vecchiaia, quindi, al lavoratore spetterebbe l’assegno pieno, completo di quota retributiva e quota contributiva. Per accedere alla “pensione a due tempi“, secondo le ipotesi sul tavolo, bisognerà aver compiuto 63 o 64 anni: da quest’età si potrà scegliere di lasciare il lavoro e usufruire di questa opzione, per poi ricevere la pensione piena al compimento dei 67 anni. Non sarà, quindi, una strada obbligata ma una possibilità. Ma, stando alle ipotesi di cui si discute, ci sarebbe anche un altro requisito oltre a quello dell’età: bisogna essere in possesso di almeno 20 anni di contributi versati allo Stato e aver maturato una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Un modo per circoscrivere la platea di chi potrà usufruire di questa opzione ed evitare assegni bassi. Favorevole a questa soluzione è Pasquale Tridico, presidente dell’Inps: l’ha descritta come l’unica soluzione “davvero flessibile e finanziariamente compatibile” nei costi rispetto alla platea. Secondo le stime dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, sarebbero circa 203mila le pensioni aggiuntive attivabili tra il 2022 e il 2024, cui sommarne altre 129mila dal 2025 al 2027 per un totale complessivo di 332mila pensioni dal 2022 al 2027.  I costi, secondo l’Inps, si aggirerebbero intorno ai 4,2 milioni di euro tra il 2022 e il 2027, che sarebbero poi recuperati da risparmi di spesa che dal 2027 al 2031 potrebbero ammontare a circa 2 miliardi di euro.

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