Norme fiscali

Sentenze – La detrazione Iva assegna l’onere della prova al richiedente

 

La Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 4 settembre 2025, resa nella causa C-726/2023, ha chiarito che la remunerazione di servizi infragruppo, forniti da una società madre alla società figlia e contrattualmente precisati, calcolata in conformità a un metodo raccomandato dalle linee guida applicabili ai prezzi di trasferimento, adottate dall’Ocse, costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso rientrante nell’ambito di applicazione dell’Iva. In questo contesto, il diritto alla detrazione dell’Iva da parte della società che ha ricevuto le prestazioni di servizi resta subordinato al rispetto delle condizioni sia sostanziali che formali per esso previste dalla direttiva Iva.

Una società rumena, facente parte di un gruppo mondiale indipendente nel settore del noleggio di gru, acquistava o noleggiava tali mezzi per rivenderli o noleggiarli ai propri clienti in Romania. La società “madre” belga cercava fornitori per l’insieme delle sue società “figlie”, tra le quali la menzionata società rumena, e negoziava con tali fornitori i termini contrattuali da applicare alle figlie. Tuttavia, per quanto riguardava l’attività svolta in Romania, i contratti di vendita e di noleggio venivano conclusi direttamente dalla società rumena sia con i suoi fornitori che con i suoi clienti. Va dato atto, a tal proposito, che uno studio sui prezzi di trasferimento per le relazioni tra la società madre e le società figlie indicava che, sul mercato di riferimento, le società figlie dovevano registrare, in forza delle norme sui prezzi di trasferimento, un margine di utile operativo compreso tra – 0,71% e 2,74 per cento.

Tra la società belga e quella rumena veniva concluso un contratto in forza del quale la società madre si impegnava ad assumere, in particolare, sotto il profilo operativo, la maggior parte delle responsabilità commerciali e i rischi economici più importanti, relativamente all’attività della società figlia. Quest’ultima, invece, si impegnava ad acquistare e a possedere tutti i prodotti necessari all’esercizio della sua attività e a essere responsabile della vendita e del noleggio di tali prodotti, nonché della prestazione di servizi.

Il contratto prevedeva una remunerazione per le attività esercitate dalle parti, pari all’importo necessario per porre la società figlia in una situazione corrispondente alle attività che essa svolgeva e ai rischi che essa si assumeva, e che una simile posizione dovesse essere determinata di comune accordo tra le parti e fondata sul metodo del margine netto della transazione, previsto dalle linee guida dell’Ocse. In tal senso, veniva previsto che, qualora la società madre avesse avuto diritto a ricevere una remunerazione da parte della società figlia per le sue attività descritte in tale contratto, la prima avrebbe inviato una fattura alla seconda alla fine di ogni anno, dovendo tale società farsi carico dell’importo dell’Iva relativa alla remunerazione percepita dalla società figlia in conformità alla legislazione tributaria rumena. Secondo le modalità di determinazione di tale retribuzione, enunciate all’allegato del medesimo contratto, una fattura di perequazione doveva essere emessa ogni anno dalla società madre qualora il margine di utile operativo della società figlia fosse superiore a 2,74% al fine di recuperare l’eccedenza di utile, oppure dalla società rumena qualora un simile margine fosse inferiore a – 0,71%, al fine di coprire ogni eccedenza di perdite. Al contrario, nessuna remunerazione era dovuta qualora il margine di utile operativo di cui trattasi fosse compreso tra – 0,71% e 2,74 per cento.

La società figlia, nel triennio, aveva registrato un margine di utile operativo superiore al 2,74% previsto nel contratto: per ciascuno di tali anni, essa aveva ricevuto da parte della società madre una fattura contenente un importo al netto dell’Iva, ove quest’ultima, a seguito di rettifica, aveva dichiarato tali fatture come relative a prestazioni di servizi. La società rumena aveva dichiarato le prime due fatture come relative ad acquisti intracomunitari di servizi per i quali aveva applicato il meccanismo dell’inversione contabile dell’Iva dovuta su tali acquisti, ma aveva ritenuto che la terza fattura fosse stata emessa per operazioni che non rientravano nell’ambito di applicazione dell’Iva.

La società rumena veniva sottoposta a una verifica fiscale, in esito alla quale le veniva richiesto un supplemento dell’Iva a causa delle detrazioni negate sulla base delle fatture emesse dalla società belga, oltre a interessi e sanzioni. Il diritto a detrazione era stato negato con la motivazione che la società figlia non aveva giustificato l’effettiva realizzazione delle prestazioni di servizi fatturate e la loro necessità ai fini delle sue operazioni imponibili.

Pertanto, la compagine adiva il Tribunale superiore di Bucarest, che respingeva il ricorso. Quindi, la società rumena proponeva appello dinanzi alla Corte d’appello di Bucarest.

Questioni pregiudiziali

Il Collegio d’appello, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

1) se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che l’importo fatturato da una società principale a una associata (la società operativa), pari all’importo necessario per allineare l’utile della società operativa alle attività svolte e ai rischi assunti secondo il metodo del margine delle linee guida dell’Ocse sui prezzi di trasferimento, costituisca un pagamento per un servizio che rientra quindi nell’ambito di applicazione dell’Iva

2) in caso di risposta affermativa alla prima questione, per quanto riguarda l’interpretazione degli articoli 168 e 178 della direttiva Iva, se le autorità fiscali abbiano il diritto di richiedere, oltre alla fattura, documenti (ad esempio, relazioni di attività, stati di avanzamento dei lavori, eccetera) che giustifichino l’utilizzo dei servizi acquistati ai fini delle operazioni imponibili del soggetto passivo, oppure se tale analisi del diritto a detrazione dell’Iva debba basarsi esclusivamente sul solo legame diretto fra acquisto e cessioni/prestazioni o fra acquisto e l’intera attività economica del soggetto passivo.

Sentenza

La Corte di giustizia premette che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva, sono soggette all’imposta “le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Secondo la giurisprudenza europea, una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi della norma appena citata, e configura pertanto un’operazione imponibile, quando tra il prestatore e il beneficiario intercorre un rapporto giuridico nel corso del quale vengono scambiate prestazioni reciproche. La remunerazione percepita dal prestatore costituisce l’effettivo controvalore del servizio identificabile fornito al beneficiario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto (cfr sentenze rese nelle cause C-102/1986 e C-527/2023).

Nel caso in esame, osserva la Corte Ue, nell’ambito del contratto esposto, le due parti avevano assunto impegni reciproci, quindi la prima condizione posta dalla giurisprudenza, relativa all’esistenza tra il prestatore e il beneficiario di un rapporto giuridico nel corso del quale vengono scambiate prestazioni reciproche, appare soddisfatta. Inoltre, i pagamenti effettuati dalla società rumena in forza del contratto costituivano la remunerazione per le attività svolte dalla società belga. Ancora: le prestazioni ricevute come corrispettivo di tali pagamenti erano tali da procurare un vantaggio concreto alla società figlia considerato che, i servizi forniti dalla società madre, comuni nell’ambito di un rapporto infragruppo, avevano un effetto sul margine di utile operativo della società figlia attraverso i risparmi che le consentivano di realizzare o il miglioramento del servizio reso ai clienti finali. Di conseguenza, anche la seconda condizione posta dalla giurisprudenza, relativa al fatto che la remunerazione percepita dal prestatore di servizi costituisca il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario, appariva soddisfatta.

Pertanto, nel caso, esisteva un nesso diretto tra il servizio reso e gli importi percepiti e le argomentazioni opposte dalla società rumena venivano analiticamente disattese dalla Corte di giustizia.

Condizioni del diritto a detrazione Iva

Nello scrutinare la seconda questione pregiudiziale, il Collegio di Lussemburgo premette che il diritto a detrazione Iva è subordinato dalla direttiva al rispetto di condizioni sia sostanziali che formali.

Per quanto riguarda, anzitutto, le condizioni formali, l’articolo 178 della direttiva Iva richiede, alla lettera a), che il soggetto passivo sia in possesso di una fattura redatta conformemente alle norme di riferimento della direttiva e, alla lettera f), che, quando è tenuto ad assolvere l’imposta quale destinatario (o acquirente) adempia alle formalità fissate da ogni Stato membro.

Ebbene, nel caso in argomento, le fatture relative alle prestazioni di servizi non comportavano indicazioni quanto alla natura dei servizi acquisiti dalla società rumena, al numero di ore fornite per ciascuna operazione, alle risorse umane e materiali utilizzate nonché al metodo di calcolo delle tariffe. Secondo la Corte Ue, quindi, tali fatture non soddisfacevano i requisiti formali stabiliti dalle disposizioni del diritto rumeno che hanno recepito la direttiva Iva.

Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria non può negare il diritto a detrazione dell’Iva con la sola motivazione che una fattura non rispetta taluni requisiti formali, qualora essa disponga di tutte le informazioni per accertare che i requisiti sostanziali relativi a tale diritto sono stati soddisfatti.

Al contrario, qualora le autorità tributarie giungano alla conclusione che le fatture prodotte dal soggetto passivo non soddisfino i requisiti formali previsti dalla normativa nazionale che ha recepito la direttiva Iva, esse possono, senza che il principio di proporzionalità vi si opponga, verificare se le condizioni sostanziali di tale diritto siano soddisfatte ed esigere a tal fine la produzione di prove supplementari da parte del soggetto passivo.

Per quanto riguarda, poi, le condizioni sostanziali, dall’articolo 168 della direttiva Iva emerge che, per poter beneficiare di tale diritto, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a fondamento di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette a imposta e che, a monte, tali beni siano ceduti o tali servizi siano resi da un altro soggetto passivo.

Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha contestato la qualità di soggetto passivo delle società coinvolte, ma ha negato alla società figlia il diritto a detrazione dell’Iva assolta a monte con la motivazione che tale società non aveva fornito la prova che i servizi menzionati sulle fatture le erano stati effettivamente forniti e che essi erano necessari ai fini delle sue attività imponibili.

Del resto, in assenza di realizzazione effettiva dei servizi effettuati a monte da un altro soggetto passivo, non può sorgere alcun diritto a detrazione. Quindi, l’Amministrazione poteva esigere dalla società rumena che essa dimostrasse che i servizi in questione erano stati effettivamente forniti dalla società belga e che la prima compagine li aveva effettivamente utilizzati per le proprie operazioni soggette a imposta, ma non si poteva esigere da quest’ultima che essa dimostrasse la necessità o l’opportunità di tali servizi per le sue operazioni soggette a imposta.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la prova, incombe a colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne.

Le autorità tributarie possono, quindi, esigere che il soggetto passivo fornisca le prove necessarie affinché esse valutino se la detrazione richiesta debba o meno essere concessa, in particolare, al fine di provare che i servizi invocati per fondare il diritto a detrazione siano stati utilizzati a valle da parte del soggetto passivo ai fini delle sue stesse operazioni soggette a imposta. In tale valutazione, esse non sono limitate all’esame della fattura stessa. Tali prove possono comprendere documenti in possesso del fornitore di servizi presso il quale il soggetto passivo abbia acquistato servizi per i quali abbia assolto l’Iva. Tuttavia, le prove richieste devono essere necessarie e proporzionate ai fini della valutazione della questione se le condizioni sostanziali del diritto a detrazione siano soddisfatte.

Conclusioni

1) L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che la remunerazione di servizi infragruppo, forniti da una società madre alla propria società figlia e contrattualmente precisati, che è calcolata in conformità a un metodo raccomandato dalle linee guida applicabili ai prezzi di trasferimento, adottate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e che corrisponde alla parte di margine di utile operativo superiore a 2,74% realizzato dalla suddetta società figlia, costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso rientrante nell’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto

2) Gli articoli 168 e 178 della direttiva Iva devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’amministrazione finanziaria esiga da un soggetto passivo che sollecita la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte la produzione di altri documenti oltre alla fattura al fine di provare l’esistenza dei servizi menzionati su tale fattura e il loro utilizzo ai fini delle operazioni soggette a imposta di tale soggetto passivo, purché la produzione di tali prove sia necessaria e proporzionata a tale scopo.

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