La guerra di Putin

Ucraina, usare le riserve russe congelate per la ricostruzione? Facile a dirsi meno a farsi

 

di Giuliano Longo

 

Torna la questione delle riserve della banca centrale russa bloccate in Occidente subito dopo l’invasione . Sono 300 miliardi di euro metà dei quali tenuti in Belgio, nel deposito finanziario Euroclear. Gli Stati Uniti trattengono solo  miliardi 5 di dollari in riserve, più di 200 miliardi è tenuto bloccato in Unione Europea, le parti rimanenti sparse tra Giappone, Australia, Canada.

Nel maggio scorso  il G7decise che quegli asset dovevano restare immobilizzati, “finché la Russia non pagherà per i danni che ha causato”, ma in giugno  la Banca Centrale europeaavvertì Bruxelles che confiscare i fondi russi o dare all’Ucraina gli interessi guadagnati su quei conti potrebbe minare la fiducia nell’euro.

«Le implicazioni potrebbero essere sostanziali (poiché l’immediata assegnazione a Kiev di quei  fondi)  potrebbe portare a una diversificazione delle riserve rispetto alle attività denominate in euro, aumentare i costi di finanziamento per i titoli sovrani europei e portare a una diversificazione degli scambi» avvertì.

Nella sostanza il timore è che se gli europei confiscassero le riserve russe, altri governi, fondi istituzionali e singoli investitori potrebbero togliere i loro soldi dall’eurozona, considerando che nel mondo non tutti sono convinti che la Russia l’unica responsabile del conflitto e potrebbero abbracciare la tesi di Mosca  che questa confisca rasenti il limite della  estorsione.

Il piano degli ucraini è invece quello usare quei proventi e altri beni russi sequestrati come garanzia per raccogliere somme molto più consistenti da investitori privati, consentendo all’Ucraina  di indebitarsi sui mercati internazionali  senza rischiare le proprie scarse riserve.

Secondo l’agenzia economica Reuters il Belgio dove sono bloccati 125 miliardi di euro russi, ha già creato un fondo per l’Ucraina con le entrate fiscali derivanti dai profitti degli asset congelati. Il fondo dovrebbe raccogliere 2,4 miliardi di euro. Non andrebbero quindi a Kiev gli interessi generati dai beni russi, ma le tasse da pagare su quegli interessi.

Ma la reazione del Cremlino non si è fatta attendere. Già nell’aprile di quest’anno  Putin ha firmato un decreto che affida al governo federale il controllo temporaneo degli asset russi di due società energetiche straniere (le società russe controllate dalla tedesca Uniper e dalla finlandese Fortum)e consente alle autorità moscovite dʼintraprendere azioni simili contro altre società di “Paesi ostili” in risposta allʼeventuale sequestro di beni russi allʼestero.

 

Successivamente, in luglio, Mosca  ha sequestrato gli asset della controllata russa del colosso francese Danone e la quota detenuta da un produttore locale  dal gigante danese delle birre Carlsberg, ma  non si tratta certo del primi sequestri annunciati su quote di capitali di proprietà occidentale e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo.

Tuttavia va rilevato che per ora il Cremlino adotta con grande cautela misure di ritorsione dai relativamente limitati risvolti finanziari,tanto più che decine di imprese occidentali hanno già abbandonato la Russia lasciando praterie agli investitori internazionali non allineati con l’Occidente e in particolare la Cina.

Ma indubbiamente se il congelamento degli asset russi diverrà un vero e primo sequestro e successivamente venissero direttamente erogati a Kiev per la prosecuzione del conflitto (prioritario rispetto alla ricostruzione dell’Ucraina) turbolenze su mercati internazionali non sono da escludere come non è da escludere la diffidenza di altri governi non ostili alla Russia, nell’affidare i propri fondi a un periglioso sistema finanziario sempre a rischio di sequestri oltre che di sanzioni.

L’elenco delle quali comprende oltre a Mosca, l’Iran, la Corea del Nord e altre, più o meno restrittive, come Afghanistan, Azerbaijan, Armenia, Bielorussia, Birmania (Myanmar), Cina, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Repubblica di Guinea (Conakry), Guinea Bissau, Haiti, Iraq, Costa d’Avorio, Libano, Liberia, Libia, Sierra Leone, Somalia, Sudan Meridionale, Sudan, Siria, Tunisia e Zimbabwe.

aggiornamento crisi russo-ucraina ore 14.53

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