Primo piano

Domenico Gallo: “La Corte penale internazionale ed il fantasma di Putin”/1

 

di Domenico Gallo*

Da Domenico Gallo  riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il 17 marzo scorso la Pre-Trial Chamber della Corte penale internazionale ha emesso due mandati di cattura in relazione ai crimini di guerra commessi nel corso del conflitto in Ucraina. Il primo riguarda il Presidente della Federazione russa Vladimir Putin, il secondo riguarda una sua collaboratrice, Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini. Entrambi sono accusati del crimine di deportazione illegale di bambini dai territori occupati dell’Ucraina.

La notizia dell’incriminazione di Putin è piombata come una bomba sugli attori del conflitto ed i loro alleati ed ha suscitato un’esplosione di opposti commenti, di entusiasmo, di riprovazione, di preoccupazione, di timore per gli ulteriori rischi.  Se è apparso subito scontato il plauso dei fanatici dell’Atlantismo e dei tifosi di Zelensky, molte perplessità si sono levate dal mondo dei giuristi, anche da coloro che avevano espresso apprezzamento per l’istituzione della Corte penale internazionale. Si veda in particolare Daniele Archibugi sul Manifesto del 18 marzo (“Putin, un’incriminazione con tante ambiguità”), Vladimiro Zagrebelsky sulla Stampa del 19 marzo (“I crimini di Putin e la credibilità della giustizia”), Franco Ippolito sul Manifesto del 23 marzo (“La guerra si ferma con la politica, non con il diritto penale”), Gaetano Azzariti sul Manifesto del 29 marzo (“I crimini di guerra vanno perseguiti tutti”). In particolare Azzariti punta il dito su “una «giustizia su misura» che si applica agli sconfitti ovvero ai nemici dell’occidente, mentre alcune potenze si sottraggono alla giurisdizione di tali tribunali e continuano a rivendicare l’impunità per le loro guerre di aggressione, svolte in nome dell’umanità.” Conclude Azzariti: “si dovrà ammettere cioè che il tribunale internazionale, che opera a nome di ben 123 Stati e a cui si affidano tante speranze per far prevalere le ragioni del diritto su quelle della forza barbarica dei carnefici non può però essere considerato espressione di un globalismo giuridico manifestazione della giustizia universale, conformandosi invece come «giustizia su misura». Un disastro per il diritto globale, un ostacolo per la pace”.

Il Tribunale di Norimberga

Prima di esprimere una valutazione più appropriata di questa vicenda, dei suoi contorni e dei possibili esiti, occorre riconsiderare il valore ed il significato dell’istituzione di una Corte penale internazionale con giurisdizione su quella triade di crimini internazionali (crimini di aggressione, crimini di guerra, crimini contro l’umanità), che trovò la sua prima formulazione nello Statuto del Tribunale di Norimberga istituito dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale in virtù dell’accordo di Londra dell’8 agosto 1945.

Il Tribunale di Norimberga ha rappresentato una grande novità dal punto di vista storico perché ha fatto emergere una maturazione dell’opinione pubblica sulla insostenibilità per la Comunità internazionale di quegli atti di barbarie supremi che si erano sviluppati nel corso della Seconda guerra mondiale. I principi dello Statuto e della sentenza di Norimberga furono confermati dalla Risoluzione dell’11 dicembre 1946 dell’Assemblea Generale dell’Onu, divenendo parte integrante del diritto internazionale in vigore.

Il limite di Norimberga è stato quello di essere un Tribunale dei vincitori che prendeva conoscenza soltanto dei reati commessi dai vinti ed ometteva del tutto di prendere in considerazione i crimini dei vincitori. La parzialità del Tribunale dei vincitori confliggeva col valore universale dei principi affermati. Come il valore universale dei principi del diritto umanitario, che poi sarebbero stato ribaditi nell’ambito dell’Onu, in una trama di Convenzioni internazionali sul diritto bellico e sui diritti umani, fra cui la Convenzione contro il Genocidio (9 dicembre 1948), le IV Convenzioni di Ginevra sui conflitti armati (12 agosto 1949) ed i due Protocolli aggiuntivi (8 giugno 1977), la Convenzione contro la tortura (10 dicembre 1984) e tante altre.

Contestualmente al processo che ha portato allo sviluppo del diritto internazionale dei diritti umani, è sorta l’esigenza delle garanzie per rendere meno evanescenti i principi affidati alle Carte dei Diritti.

Il problema è tanto più acuto per quanto riguarda il diritto bellico o umanitario. E’ opinione comune, infatti, che, se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale. Nel sistema delle Nazioni Unite al diritto è stato affidato il compito di tenere a freno la spada: una missione largamente fallita.

Il Tribunale penale per la ex Jugoslavia

Nel 1993, mentre infuriava la guerra civile nella ex Jugoslavia, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la Risoluzione n. 808 del 22 febbraio 1993 decise di dare vita ad un Tribunale internazionale deputato a giudicare le persone responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale perpetrate nel territorio della ex Jugoslavia a partire dal 1991. Con la successiva Risoluzione n. 827 del 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza approvò lo Statuto del Tribunale attribuendogli la competenza a giudicare:

  1. Delle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949;
  2. Della violazione delle leggi e degli usi di guerra;
  3. Del crimine di genocidio;
  4. Dei crimini contro l’umanità.

L’istituzione di un Tribunale ad hoc per i crimini commessi dai belligeranti nella ex Jugoslavia fu apprezzata come misura moderatrice della violenza del conflitto, ma suscitò dei dubbi circa l’imparzialità del Tribunale che ben presto si rivelarono fondati.[1]

La caduta di imparzialità del Tribunale per la Jugoslavia si verificò a seguito di un fatto nuovo che nel 1993 non poteva essere previsto: la guerra aerea condotta dalla Nato per 78 giorni contro la ex Jugoslavia, dal 24 marzo al 10 giugno 1999. Con questa operazione la Nato ed i suoi paesi membri entrarono nel raggio di azione della giurisdizione del Tribunale istituito dall’Onu. La difficoltà di fondo consisteva nel fatto che un’istituzione molto debole, come tutti gli organismi internazionali, avrebbe dovuto esercitare un potere di controllo nei confronti di un’articolazione (la Nato) di una superpotenza politica e militare come gli Stati Uniti, che non hanno mai accettato e non accettano limitazione alcuna alla loro sovranità.

La possibile frizione fra la Nato ed il Tribunale penale per la ex Jugoslavia si risolse facilmente perché il Procuratore del Tribunale penale internazionale dell’epoca, Carla Del Ponte, decise di chiudere un occhio, anzi tutti e due, di fronte ai crimini della Nato. Intervenendo ad una riunione del Consiglio di Sicurezza, il 2 giugno 2000, Carla Del Ponte comunicò che il suo ufficio non intendeva procedere in ordine alle numerose denunce presentate contro la Nato per i crimini commessi dall’alleanza durante il conflitto. Aggiunse di essere “molto soddisfatta” avendo verificato che, malgrado alcuni errori, la Nato non era ricorsa a metodi illegittimi di guerra.[2] In seguito la Nato si è arrogata la funzione di polizia giudiziaria del Tpi, pretendendo (ed ottenendo) dalla Serbia la consegna di Milosevic, che trasferiva all’Aja il 29 giugno 2001 per metterlo a disposizione del Tpi, di fronte al quale Milosevic doveva rispondere dei suoi crimini di guerra.

In questo modo il Tpi è diventato un’istituzione gregaria della Nato e la legittima esigenza di reprimere i crimini contro l’umanità, è diventata – ancora una volta – un’arma utilizzata dai vincitori contro i vinti.

Il progetto di una Corte penale internazionale nasceva proprio dall’esigenza di superare i limiti spaziali e ideologici dimostrati dai Tribunali ad hoc per riaffermare il carattere universale della giurisdizione relativa alle più gravi violazioni del diritto delle genti.

1/segue

*Giurista

Related posts

A Gaza è finito il cibo, le persone per sfamarsi cercano mangimi per animali

Redazione Ore 12

Quando la terra trema, ecco i peggiori terremoti della storia

Redazione Ore 12

Olimpiadi di Tokyo senza vessillo tricolore? Non è da escludere. Anche Malagò conferma quanto denunciato da Repubblica

Redazione Ore 12