La guerra di Putin

La guerra non uccide solo la verità ma anche l’informazione

di Giuliano Longo (Reedgreen)

Che i media italiani (e occidentali) siano quasi tutti schierati con Kiev è, sotto il profilo dell’informazione, è ineccepibile nei confronti di un Paese sovrano che nelle sue regioni orientali è stato invaso dalla Russia. Ma il dubbio sorge proprio sulla qualità di questa informazione che circola attraverso Tv,Stampa e internet, escludendo gli haters professionali schierati acriticamente con l’una o l’altra parte. E qui sorge un problema che va otre le alleanze e le scelte cui siamo vincolati, ma attiene al modo di fare informazione anche in un mond oggi spappolato sui social. Partiamo dalle fonti di informazione. Attualmente queste si basano su comunicati e dichiarazioni di parte ucraina, mai verificate e talora assunte come oro colato da corrispondenti. inviati, agenzie di stampa e quant’altro alimenta i complessi circuiti della comunicazione. Per quanto riguarda l’avversario russo, viene più demonizzato che analizzato nei suoi comportamenti (più o meno esecrabili o patologici), considerato esclusivamente produttore di mefitica propaganda che tenderebbe addirittura ad interferire sulla politica interna di alcuni Paesi dell’Occidente. E’ invece nostra opinione che in guerra la verità non esista, anzi è proprio sulla comunicazione, anche nei termini tecnologicamente più sofisticati, che si combatte una guerra parallela che per l’Ucraina che si avvale di giganti delle comunicazione e dell’intelligence come gli Usa e il Regno Unito. Un’azione penetrante, permanente di condizionamento dell’opinione pubblica (termine peraltro piuttosto vago) che ha buon gioco in Occidente, ma non tiene conto che almeno per 2/3 dell’umanità l’Ucraina non rappresenta il focus (l’ombelico) dei propri interessi vitali, almeno sino a quando non si precipita sulla carenza energetica o alimentare per le quali vengono pressantemente e urgentemente richieste soluzioni che non possono essere che essere “globali”. Senza contare che il blocco Russia/Cina -con tutte le cautele di Pechino impegnata in un confronto ben più radicale con gli Usa- coinvolge da solo un miliardo e mezzo di abitanti di questo mondo, cui va aggiunto il colosso indiano, i Paesi dell’Africa e dell’America Latina, di cui si parla e si scrive poco soprattutto in Italia vittima del suo cronico provincialismo politico. Eppure , per esempio, basterebbe solo scorrere le prime pagine di molti autorevoli quotidiani di questi Paesi, per comprendere che questa guerra nelle sue atrocità – peraltro non dissimili da quelle di decine di guerre, guerriglie rivolte ecc anche ignorate- non è dissimile da quelle che travagliano un Pianeta sempre più stretto ed interconnesso. Laddove questo conflitto non appare come uno scontro non di “civiltà”, ma un problema tutto interno ad un Occidente satollo ma sicuramente in declino, almeno in termini demografici. C’è poi tutto l’aspetto strategico militare che ingrassa gli apparati militari /industriali dei contendenti (peraltro importatori di armamenti sofisticati anche da Paesi terzi) sui quali si vanno esercitando le opinioni di strateghi, esperti, storici, filosofi generali e ufficiali in pensione, che la guerra la trattano con la freddezza di chi, in un modo o nell’altro, la considera un mestiere o una cavia da laboratorio della distruzione. E qui le nebbie si fanno ancora più fitte perché in realtà nessuno, e forse poco nemmeno le parti in conflitto, hanno le idee chiare su cosa avvenga sul campo di una guerra comunque ibrida e tecnologica, anche se condotta sui territori come avvenuto nei secoli. Per cui russi ed ucraini si accusano reciprocamente di atrocità che in Occidente vengono raccolte (faziosamente?) anche da poco attendibili testimonianze e dichiarazioni di militari, civili sconvolti, spesso con interviste per strada a passanti preavvertiti, oppure, peggio ancora, dalle fonti ufficiali del Governo Zelensky. Contrariamente al mainstream ricorrente, non è del tutto vero che nella opacità secolare delle terre russe, manchino discussioni serie sulla conduzione della guerra, sui suoi costi economici e umani, sulle sue prospettive di una durata ormai lunga, anche per volontà della Nato (ma su questo si tace), e addirittura critiche palesi. Semmai quello che importa è denunciare giustamente l’arresto di qualche dissidente o la fake sul cancro di Putin, mentre basterebbe scorre il web russo che nella sua diffusione, anche incontrollabile, non si differenzia molto da quello nostrano, per tentare di capirci qualcosa di più. Insomma la propaganda genera propaganda e in attesa del crollo del sistema putiniano si finisce per alimentare quel sentimento panrusso che ha radici secolari fra le popolazioni della Federazione lungo tutto i suoi 11 fusi orari da San Pietroburgo a Vladivostok. Infine la carenza di analisi, non solo quella affrettata dalla contingenza di questa sanguinosa crisi, ma quella che ha radici storiche, sociali, culturali ,etniche che non giustificano mai la guerra (eppure ce ne sono tante della stessa natura nel mondo), ma appiattisce i governi su opzioni militari e nella speranza che l’armata di Zelensky ormai esclusivamente dipendente dal supporto dell’Occidente per la sua sopravvivenza, ribalti la situazione con più o meno presunte o verbalmente efficaci, controffensive. Nella prospettiva di un improbabile annientamento dell’orso russo come fu tentato con la dissoluzione dell’URSS. Certo le analisi e gli approfondimenti (anche colti) non sono di  questo mondo della comunicazione frettolosa, frammentata in milioni di rivoli e spesso rabbioso dove le fake dilagano, ma dovrebbe risultare utile più che agli addetti ai lavori della guerra, alle classi dirigenti, ai governi (alla loro”cultura” di governo) che sono necessariamente costretti a scelte politiche, le quali più meditate sono, meglio sarebbe per tutta l’umanità. Basterebbe leggere le recenti dichiarazioni del quasi centenario Kissinger per comprende che senza cultura e conoscenza storico/sociale, nemmeno la diplomazia può funzionare, mentre chiaro è il vero orientamento pacifista della Chiesa Cattolica e del suo Papa: un messaggio ecumenico ed equilibrato basato sulla profonda conoscenza di ”fatti e cose”.

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