di Marcello Trento
Viviamo in un’epoca di crisi perenne. Guerre che si propagano oltre i confini, l’ombra persistente di future pandemie, instabilità economica globale. In questo clima di incertezza e paura, si insinua un pericolo subdolo, un golpe strisciante che non si manifesta con carri armati nelle strade, ma con la lenta erosione delle libertà in nome della sicurezza e della “necessità”.
Immaginate uno scenario in cui, di fronte a una nuova emergenza sanitaria o all’escalation di un conflitto internazionale, i governi invocano poteri speciali, inizialmente presentati come temporanei. Restrizioni alle libertà personali, sorveglianza intensificata, controllo dell’informazione, tutto giustificato dall’urgenza di proteggere la collettività. La popolazione, stanca e spaventata, accetta passivamente queste misure, convinta che siano un male minore rispetto al caos e al pericolo imminente. “È per il nostro bene”, si sussurra, e la paura anestetizza il senso critico.
Parallelamente, assistiamo a una metamorfosi inquietante dei partiti di massa. Un tempo espressione di ideologie e movimenti popolari, essi appaiono sempre più svuotati di reale dibattito interno, ridotti a apparati burocratici efficienti nel veicolare decisioni prese altrove. Ma il quadro si fa ancora più torbido se consideriamo il ruolo di organizzazioni esterne allo Stato, entità opache che agiscono di fatto come servizi segreti paralleli. Questi poteri forti, spesso radicati in network finanziari globali o in oscuri centri di influenza, tessono trame silenziose, infiltrando istituzioni, manipolando l’informazione e, in alcuni casi, non esitano a corrompere poteri mafiosi ed economici per raggiungere i propri scopi. Queste reti occulte agiscono nell’ombra, sfuggendo al controllo democratico e minando la sovranità popolare.
I partiti di massa, in questo scenario, diventano strumenti inconsapevoli, o forse complici, di questa deriva. I poteri forti hanno gradualmente infiltrato e assunto il controllo di queste strutture, finanziando campagne, influenzando le nomine, dettando l’agenda politica. Le grandi narrazioni ideologiche si affievoliscono, lasciando spazio a una gestione tecnocratica del potere, dove le decisioni sembrano dettate da “esperti” più che da scelte politiche partecipate. La vitalità democratica interna ai partiti si spegne, lasciando il campo a una gestione verticistica e burocratica.
E la resistenza politica? Sembra evaporata. I politici di ogni schieramento, spesso prigionieri delle logiche di partito e delle dinamiche di potere interne, appaiono stranamente allineati nel non opporsi a questa deriva. Le critiche sono timide, le alternative poco convincenti. L’omologazione del pensiero, favorita da un’informazione sempre più omogenea e controllata, fa il resto.
Le parole di uomini del passato risuonano oggi con una preoccupante attualità. Giulio Andreotti, con la sua acuta analisi del potere, ammoniva: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. Questa frase, applicata al nostro scenario, ci spinge a non essere ingenui di fronte a dinamiche oscure e interessi nascosti. Enrico Berlinguer metteva in guardia contro i pericoli di una degenerazione del sistema politico, affermando: “La questione morale non è solo un fatto di malcostume individuale, ma investe il sistema di potere”. Le sue parole ci ricordano come la trasparenza e l’integrità siano pilastri fondamentali di una democrazia sana, minacciati dall’opacità dei poteri occulti. Sandro Pertini, con la sua passione per la libertà, tuonava: “La libertà senza giustizia non è che una non-libertà”. Bettino Craxi riconosceva l’importanza del confronto democratico: “La democrazia è la forma più avanzata di convivenza civile, ma richiede impegno e partecipazione costante”. Anche Silvio Berlusconi sottolineava come “la sovranità appartiene al popolo”.
Il pericolo di un golpe nascosto, orchestrato da poteri occulti che manovrano organizzazioni esterne allo Stato, celato dietro la cortina fumogena delle emergenze e dell’apparente impotenza della politica, è più reale di quanto si possa pensare. Non si tratta solo di dinamiche interne allo Stato, ma di influenze esterne che agiscono subdolamente, corrompendo il tessuto democratico.
La vera sfida è riscoprire il senso critico, la capacità di distinguere la vera necessità dalla manipolazione, e di pretendere una politica che torni ad essere espressione autentica della volontà popolare, non semplice strumento di poteri occulti. È necessario fare luce su queste zone d’ombra, smascherare le ingerenze esterne e riaffermare la centralità delle istituzioni democratiche. La quiete apparente potrebbe essere solo il preludio a una tempesta ben più insidiosa di quelle che temiamo.
