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L’Onu se ne va, il Mali come Kabul La Wagner si prepara alla riscossa

L’ormai imminente ritiro dal Mali delle forze integrate nella Missione delle Nazioni Unite (Minusma) rischia di consegnare definitivamente il Paese africano all’orbita russa. Sulla questione è chiamato ad esprimersi nei prossimi giorni il Consiglio di sicurezza dell’Onu con un voto il cui esito appare tuttavia già deciso. Dopo l’esplicita richiesta della giunta al potere a Bamako di ritirare “senza indugio” le truppe di stanza nel Paese dal 2013, alle Nazioni Unite il dibattito è concentrato di fatto sulle modalità di ritiro delle truppe piuttosto che sull’ipotesi – ormai irrealistica – di un rinnovo della missione. A favore del ritiro si sono espressi con decisione gli Stati Uniti. Nei fatti, insomma, nessun Paese occidentale dimostra di credere più alla necessità di mantenere quantomeno un presidio di sicurezza nel Paese saheliano, dal quale perfino la Germania – dopo alcuni tentennamenti – ha dichiarato di volersene andare “più velocemente” del previsto, rispetto ad un’agenda che prevedeva un ritiro scaglionato dei suoi uomini fino a maggio del 2024. L’Europa batte in ritirata, e pare farlo più sulla scia di una reazione ideologica che di un’analisi tattica, lontana da quel ritiro “ordinato e responsabile” auspicato da Washington a poche ore dalla richiesta di Bamako. Nel frettoloso allontanamento dal Sahel rimane poco delle sdegnate denunce espresse solo un mese fa per il massacro di Moura, località del Mali centrale dove a marzo scorso sono stati uccisi oltre 500 civili da militari dell’esercito e affiliati del gruppo paramilitare russo Wagner, o di altri analoghi episodi di violenza che avevano fatto gridare all’urgenza di un contenimento internazionale della minaccia jihadista nella regione. In questo contesto, gli unici ad aver ribadito il loro favore al rinnovo della missione Minusma sono stati i gruppi tuareg firmatari dell’accordo di Algeri che, dopo il ritiro delle forze francesi, si sono schierati al fianco dell’esercito maliano. La giunta di Bamako rivendica ora il diritto di gestire in autonomia la minaccia jihadista e di farlo scegliendo come partner privilegiati proprio Mosca e il gruppo Wagner, che nel Paese ha dispiegato da tempo fra i 600 e i 1.000 mercenari. Il tema della sicurezza, del resto, ha offerto ai golpisti guidati dal colonnello Assimi Goita un ottimo pretesto per rimanere al governo ben oltre i 18 mesi promessi inizialmente per la transizione verso un governo civile. Il referendum tenuto lo scorso 18 giugno, contestato dalle opposizioni ma annunciato con il favore di oltre il 90 per cento dei voti, ha concretamente messo un punto alle speranze di un già improbabile ritorno ad istituzioni democratiche. Ormai inglobato in orbita russa, il Mali rischia tuttavia di pagare un prezzo ulteriore, legato non più solo alla presenza dei Wagner ma alla lotta di potere aperta dal suo fondatore Evgenij Prigozhin con il presidente russo Vladimir Putin dopo la fallita ribellione della scorsa settimana. Secondo il “Wall Street Journal”, Putin avrebbe avviato un’inevitabile operazione di “pulizia” nei ranghi della milizia, strumento determinante e a basso costo per espandere l’influenza russa in Africa ed in Medio Oriente. Con il chiaro obiettivo di riprendere il controllo delle attività del gruppo paramilitare, il presidente russo ha inviato un preciso messaggio ai leader di Siria, Repubblica Centrafricana e Mali – dove la presenza di Wagner è ormai accertata – assicurando che la contenuta insurrezione non arresterà la loro espansione in Africa ma che le loro attività non saranno più autonome. Secondo il quotidiano statunitense, che cita funzionari anonimi e “disertori” della milizia russa, fin dalle ore successive alla rivolta di Prigozhin il viceministro degli Esteri russo, Andrej Rudenko, è volato a Damasco per consegnare personalmente il messaggio al presidente siriano Bashar al Assad, mentre la stessa direttiva è stata comunicata per via telefonica da Mosca al presidente centrafricano Faustin-Archange Touadera, la cui guardia del corpo include anche mercenari della Wagner. Nei giorni scorsi – prosegue il “Wall Street Journal” – aerei governativi del ministero delle Situazioni di emergenza russo hanno fatto la spola dalla Siria al Mali, un altro degli avamposti internazionali chiave della milizia Wagner. Secondo il quotidiano, il vortice di attività diplomatica riflette il tentativo del presidente russo di sminuire l’entità della crisi interna, e rassicurare i partner di Mosca in merito alla prosecuzione delle attività globali del gruppo Wagner. La Russia, che per anni ha ufficialmente negato ogni associazione con il gruppo paramilitare, starebbe ora tentando di rilevare e amministrare direttamente la sua vasta rete di risorse e attività marginalizzando al contempo Prigozhin, sebbene su questo punto non sia ancora del tutto chiaro se e come potrà farlo. Il “Wall Street Journal” stima che circa 6mila mercenari e dipendenti del gruppo Wagner operino attualmente al di fuori del territorio di Russia e Ucraina.

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