Esteri

Niger espelle le truppe francesi , ma prosegue l’offensiva jihadista e dei tuareg nel Mali

A seguito  golpe militare del 26 luglio scorso, Emmanuel Macron ha ammesso che la «Françafrique è morta» annunciando il rimpatrio dell’ambasciatore di Parigi in Niger  e il ritiro delle truppe francesi dal paese entro la fine del 2023. Da  un mese la sede diplomatica francese era circondata dalle forze di sicurezza nigerine e l’ambasciatore, cui era stata ritirata  l’immunità, non era in grado di muoversiliberamente.


Finora il Niger ha rappresentato il perno della presenza militare francese nel Sahel, dopo la partenza forzata delle truppe di Parigi dal Mali nell’agosto del 2022 a seguito di un colpo di stato, che ha posto fine all’operazione Barkhane.  All’inizio di quest’anno anche forze speciali francesi operative a Ouagadougou da 15 anni – ha dovuto abbandonare il Burkina Faso dopo la presa del potere da parte di una giunta militare ostile alla Francia.

Dopo dieci anni di operazioni militari nel Sahel, giustificate dal contrasto dell’insorgenza l’esigenza jihadista, Parigi manterrà una presenza militare soltanto in Ciad, dove si trovano circa 1.000 soldati.

Nel resto dell’Africa Parigi manterrà anche 900 militari in Costa d’Avorio, 1400 a Gibuti, 350 in Senegal e 400 in Gabon, ma il ritiro dal Niger conferma il rapido declino dell’influenza francese in un’area dove si stanno affermando le potenze concorrenti.

Dopoil golpe, in particolare il Mali ha avviato una collaborazione militare con Mosca e ha accolto un contingente della Wagner, presente anche nella Repubblica Centrafricana e in Cirenaica (Libia).

Ovviamente l’annuncio di Macron è stato accolto con entusiasmo dai golpisti di Niamey e il “Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria” ha intimato che «tutte le persone, le istituzioni o le strutture che costituiscono una minaccia per gli interessi e i progetti del Paese devono abbandonare» il Niger, «le forze imperialiste e neocolonialiste non sono più le benvenute».

Il ritiro dell’ambasciatore e del contingente militare francese da Niamey rappresentano una sconfitta per Macron, che affermava di non riconoscere la legittimità delle autorità nigerine salite al potere con il golpe. Dopo la caduta  presidente nigeriano Mohamed Bazoum fosse  fuori dalla principale base francese a Niamey si sono svolte manifestazioni a sostegno della richiesta di ritiro delle truppe di Parigi che, in un primo tempo aveva ridotto il contingente,  aumentando però il numero delle sue truppein altri paesi africani come Senegal, Costa d’Avorio e Benin.

Una mossa denunciata dal nuovo regime del Niger, secondo il quale Parigi si preparava ad un intervento militare contro Niamey, minacciato nei giorni immediatamente successivi al golpe ma poi sfumato a favore di una operazione militare per “ristabilire l’ordine costituzionale” da affidare ai paesi riuniti nell’ECOWAS, la Comunità Economica dell’Africa Occidentale.

Anche questa seconda opzione è sfumata, dopo che Washington si è tirata indietro valutando positivamente l’indebolimento del ruolo francese nel continente.

Dopo le rassicurazioni ricevute dall’ex capo delle Forze Speciali, generale Moussa Salaou Barmou, ora esponente del nuovo regime, formatosi negli Stati Uniti e incaricato delle relazioni con la vice segretaria di Stato Victoria Nuland – Washington ha infatti deciso di mantenere per ora nel paese i suoi 1100 militari, la maggior parte dei quali sono stati però spostati da Niamey ad Agadez.

Nel frattempo la Nigeria ha tagliato a Niamey le forniture elettriche mentre altri paesi hanno deciso di imporre sanzioni economiche e commerciali. Per tentare di fronteggiare situazione, le giunte militaridi Mali, Niger e Burkina Faso hanno siglato un accordo di mutua difesa per «preservare la sovranità dei tre paesi» e per contrastare l’insorgenza jihadista.


L’ “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale.

Oltre a impegnare i tre paesi a non attaccarsi a vicenda e a contrastare eventuali ribellioni armate contro i rispettivi governi, il documento prevede anche l’eventuale adesione di altri paesi dell’area. L’obiettivo è quello d di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle  popolazioni». Il tentativo è quello di unire le forze per fronteggiare l’espansione delle milizie legate ad al Qaeda o a Daesh una volta espulse le truppe francesi e di altri paesi occidentali.

Proprio in questi giorni gli eserciti del Burkina Faso e del Niger stanno compiendo delle operazioni congiunte contro i gruppi jihadisti nell’est del Paese.L’operazione, in cui sarebbero morti decine di fondamentalisti, è avvenuta una settimana dopo che il parlamento di Ouagadougou ha approvato lo spiegamento di truppe in Niger per combattere la rivolta jihadista lungo il confine tra i due paesi.

Il paese della nuova alleanza che per ora sembra in maggiori difficoltà è il Mali, dove negli ultimi mesi è riesplosa anche la ribellione dei combattenti Tuareg riuniti nella Coalizione dei Movimenti dell’Azawad (Cma).

I Tuareg, che nel 2012 avevano proclamato l’indipendenza del nord del paese, accusano ora la giuntagolpista di aver violato l’accordo di pace siglato nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako e di aver attaccato i territori dove sono insediati i ribelli.

Dal Mali, su richiesta della giunta militare al potere, si stanno ritirando le forzedella Missione di Mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusma), che comprendono anche 900 militari tedeschi, il che rende ancora più gravoso il compito delle forze armate locali.

Negli ultimi mesi le milizie jihadiste hanno riconquistato in Maliterritori nel nord: da agosto la città di Timbuktù è assediata dalle milizie del Gruppo di Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (JNIM), e i suoi abitanti non possono né abbandonare l’area né ricevere rifornimenti.

Per cercare di frenare questa avanzata, lagiunta del Mali sta rafforzando le relazioni con Mosca.Dopo aver ricevuto dalla Russia numerosi caccia, aerei per trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, ad agosto i leader di Bamako hanno avuto ben due colloqui con Vladimir Putin.

Dopodiché lagiunta golpista del Mali ha annunciato il rinvio – per “motivi tecnici” – delle elezioni presidenziali previste per febbraio, che avrebbero dovuto segnare la consegna del potere ai civili.

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